Barbieri: "Quando venni scelto come giudice di Masterchef"
SpettacoloMentre il talent show entra nel vivo (appuntamento per la semifinale stasera alle 21.10 su Sky Uno HD), lo chef racconta in un libro Rizzoli, tra ricette e ricordi, il modo in cui venne selezionato per la giuria. L'ESTRATTO
di Bruno Barbieri
La prima volta che venni contattato dalla casa di produzione Magnolia non fu per MasterChef ma molto prima, in tempi non sospetti, per un altro reality che alla fine, per una serie di motivi, non fu prodotto.
Qualche tempo più tardi però mi telefonarono di nuovo: volevano incontrarmi per un altro programma. Questa volta si trattava proprio di MasterChef. Lì per lì, ancora lievemente amareggiato per la precedente proposta non andata in porto, feci quello che se la tirava un po’: “Se devo venire a Milano perché poi vada come l’altra volta... oh, bona lì!”. Ma conoscevo il talent show e mi ispirava parecchio, così mi presentai agli studi della casa di produzione in via Mecenate il giorno convenuto.
Prima di provinarmi mi ricordarono che non ero l’unico in lizza e che me la dovevo giocare. E io me la giocai alla grande! Feci il provino di fronte a Paola Costa, il capo autori, e altri due o tre della produzione.
Consisteva nel giudicare i piatti che avevano preparato due ragazze del team: fui subito non cattivo ma molto diretto, tecnico. Mi comportai come avrei fatto con uno dei miei ragazzi in cucina: alla mano ma schietto, pronto a dispensare critiche costruttive, mirate a far capire che cosa va bene e che cosa no e a spronare ad andare oltre. Se quello era il genere di giudice che stavano cercando, sentivo che il ruolo mi calzava a pennello.
A ogni modo, a fine provino i miei esaminatori, seppur in apparenza soddisfatti, mi liquidarono in fretta senza troppo sbottonarsi: “Ah bene, bene! Ci risentiamo presto, buongiorno e arrivederci”.
Nei due mesi e mezzo successivi nessuno si fece più vivo e io ci avevo ormai messo una pietra sopra, quando mi chiamò il direttore di produzione Alessandro Tedeschi. ricordo che ero in autostrada diretto a Bologna e lui mi disse a bruciapelo: “Ciao Bruno, sono Alessandro. Noi ti vorremmo tra i giudici di MasterChef. Sei ancora interessato?”.
Per un attimo ho pensato di fare inversione al primo svincolo e andare a dirglielo di persona a Milano. È chiaro che mi interessava ancora!
Fare televisione non è facile. È un meccanismo che funziona un po’ come una lavatrice: ti gettano dentro, schiacciano un bottone, ti centrifugano e il giorno che decidono che sei diventato un maglioncino infeltrito, impiegano esattamente trenta secondi a scaricarti nella spazzatura.
Bisogna dunque fare attenzione a non montarsi troppo la testa e tenere i piedi ben saldi a terra, ricordandosi sempre da dove si è partiti. Altrimenti diventa difficile tutto. Devo dire che per natura sono abituato ad adattarmi alle situazioni senza snaturarmi, mostrandomi sempre per quello che sono, e credo che questo modo di pormi costituisca un mio punto di forza.
Sono pure uno che non ha paura di fare passi indietro se lo ritiene opportuno. Lo ammetto, quando la gente ti riconosce e ti ferma per strada per chiederti l’autografo fa un certo effetto, e ancor oggi non mi sono del tutto abituato e mi scappa un po’ da ridere per tanto che mi sembra ancora strano. Ma sento di non essere cambiato granché e continuo la vita di sempre: mi alzo presto la mattina, faccio la spesa, stiro le camicie, vado a correre, quando posso torno a Medicina...
In ciò forse mi ha aiutato anche il fatto che MasterChef è un’esperienza “vera”, fatta di persone vere. Mentre registriamo non ho alcun genere di limitazioni, posso esprimermi e comportarmi come a telecamere spente. Tant’è che il “mappazzone”, termine che non ho coniato io ma che è d’uso comune nel bolognese per indicare un piatto innanzitutto troppo abbondante e in cui si è messo un po’ a caso un numero eccessivo di ingredienti, è diventato presto un “modo di dire”.
Spesso i concorrenti del programma non hanno saputo resistere alla tentazione del mappazzone presentando porzioni un “tantinello abbondanti”, come qualcuno di loro ha ammesso, ma anche risotti buoni da usare come frisbee, purè talmente appiccicosi da sembrare colla cattura insetti, hamburger americani che erano un orrore per gli occhi e per il palato...
Ma si sa, il rischio mappazzone è sempre dietro l’angolo, soprattutto quando si accetta la sfida della sperimentazione. per evitarlo ricordate: sempre meglio togliere che aggiungere! L’hamburger è un piatto che mi piace molto: in apparenza un cibo standardizzato, in realtà permette di scatenare la fantasia. Tra le due fette di pane potete mettere un’infinità di ingredienti. Attenzione però a non metterne troppi!
©2014 RCS libri S.p.A, Milano
Tratto da Bruno Barbieri, Via Emilia, via da casa, Rizzoli, pp.280, euro 16,90
Bruno Barbieri (Medicina, Bologna, 1962) nel corso della sua carriera ha collezionato in totale 7 stelle Michelin diventando così l’unico chef italiano ad aver eguagliato Gualtiero Marchesi. Dopo la scuola alberghiera, Barbieri si è imbarcato come cuoco sulle navi da crociera, per poi approdare nei migliori ristoranti d’Italia. È giudice di MasterChef Italia e di Junior MasterChef Italia.
La prima volta che venni contattato dalla casa di produzione Magnolia non fu per MasterChef ma molto prima, in tempi non sospetti, per un altro reality che alla fine, per una serie di motivi, non fu prodotto.
Qualche tempo più tardi però mi telefonarono di nuovo: volevano incontrarmi per un altro programma. Questa volta si trattava proprio di MasterChef. Lì per lì, ancora lievemente amareggiato per la precedente proposta non andata in porto, feci quello che se la tirava un po’: “Se devo venire a Milano perché poi vada come l’altra volta... oh, bona lì!”. Ma conoscevo il talent show e mi ispirava parecchio, così mi presentai agli studi della casa di produzione in via Mecenate il giorno convenuto.
Prima di provinarmi mi ricordarono che non ero l’unico in lizza e che me la dovevo giocare. E io me la giocai alla grande! Feci il provino di fronte a Paola Costa, il capo autori, e altri due o tre della produzione.
Consisteva nel giudicare i piatti che avevano preparato due ragazze del team: fui subito non cattivo ma molto diretto, tecnico. Mi comportai come avrei fatto con uno dei miei ragazzi in cucina: alla mano ma schietto, pronto a dispensare critiche costruttive, mirate a far capire che cosa va bene e che cosa no e a spronare ad andare oltre. Se quello era il genere di giudice che stavano cercando, sentivo che il ruolo mi calzava a pennello.
A ogni modo, a fine provino i miei esaminatori, seppur in apparenza soddisfatti, mi liquidarono in fretta senza troppo sbottonarsi: “Ah bene, bene! Ci risentiamo presto, buongiorno e arrivederci”.
Nei due mesi e mezzo successivi nessuno si fece più vivo e io ci avevo ormai messo una pietra sopra, quando mi chiamò il direttore di produzione Alessandro Tedeschi. ricordo che ero in autostrada diretto a Bologna e lui mi disse a bruciapelo: “Ciao Bruno, sono Alessandro. Noi ti vorremmo tra i giudici di MasterChef. Sei ancora interessato?”.
Per un attimo ho pensato di fare inversione al primo svincolo e andare a dirglielo di persona a Milano. È chiaro che mi interessava ancora!
Fare televisione non è facile. È un meccanismo che funziona un po’ come una lavatrice: ti gettano dentro, schiacciano un bottone, ti centrifugano e il giorno che decidono che sei diventato un maglioncino infeltrito, impiegano esattamente trenta secondi a scaricarti nella spazzatura.
Bisogna dunque fare attenzione a non montarsi troppo la testa e tenere i piedi ben saldi a terra, ricordandosi sempre da dove si è partiti. Altrimenti diventa difficile tutto. Devo dire che per natura sono abituato ad adattarmi alle situazioni senza snaturarmi, mostrandomi sempre per quello che sono, e credo che questo modo di pormi costituisca un mio punto di forza.
Sono pure uno che non ha paura di fare passi indietro se lo ritiene opportuno. Lo ammetto, quando la gente ti riconosce e ti ferma per strada per chiederti l’autografo fa un certo effetto, e ancor oggi non mi sono del tutto abituato e mi scappa un po’ da ridere per tanto che mi sembra ancora strano. Ma sento di non essere cambiato granché e continuo la vita di sempre: mi alzo presto la mattina, faccio la spesa, stiro le camicie, vado a correre, quando posso torno a Medicina...
In ciò forse mi ha aiutato anche il fatto che MasterChef è un’esperienza “vera”, fatta di persone vere. Mentre registriamo non ho alcun genere di limitazioni, posso esprimermi e comportarmi come a telecamere spente. Tant’è che il “mappazzone”, termine che non ho coniato io ma che è d’uso comune nel bolognese per indicare un piatto innanzitutto troppo abbondante e in cui si è messo un po’ a caso un numero eccessivo di ingredienti, è diventato presto un “modo di dire”.
Spesso i concorrenti del programma non hanno saputo resistere alla tentazione del mappazzone presentando porzioni un “tantinello abbondanti”, come qualcuno di loro ha ammesso, ma anche risotti buoni da usare come frisbee, purè talmente appiccicosi da sembrare colla cattura insetti, hamburger americani che erano un orrore per gli occhi e per il palato...
Ma si sa, il rischio mappazzone è sempre dietro l’angolo, soprattutto quando si accetta la sfida della sperimentazione. per evitarlo ricordate: sempre meglio togliere che aggiungere! L’hamburger è un piatto che mi piace molto: in apparenza un cibo standardizzato, in realtà permette di scatenare la fantasia. Tra le due fette di pane potete mettere un’infinità di ingredienti. Attenzione però a non metterne troppi!
©2014 RCS libri S.p.A, Milano
Tratto da Bruno Barbieri, Via Emilia, via da casa, Rizzoli, pp.280, euro 16,90
Bruno Barbieri (Medicina, Bologna, 1962) nel corso della sua carriera ha collezionato in totale 7 stelle Michelin diventando così l’unico chef italiano ad aver eguagliato Gualtiero Marchesi. Dopo la scuola alberghiera, Barbieri si è imbarcato come cuoco sulle navi da crociera, per poi approdare nei migliori ristoranti d’Italia. È giudice di MasterChef Italia e di Junior MasterChef Italia.