Scala, Marta Romagna: “Amo le tragedie ma solo sulla scena”

Spettacolo
La prima ballerina del Teatro alla Scala Marta Romagna in Manon. Archivio Fotografico Fondazione Teatro alla Scala. Foto: Brescia-Amisano
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La prima ballerina del Piermarini torna sul palco con Manon, dopo la pausa per la maternità. “E’ un ruolo che danzerei ogni giorno”. E su Roberto Bolle: “E’ stato il mio primo partner. Siamo molto amici. E oggi è di grande aiuto ai più giovani”

di Chiara Ribichini

“Vorrei essere Manon ogni giorno. Amo le tragedie ma solo sulla scena”. Prima ballerina del Teatro alla Scala, nome di punta della danza italiana da diversi anni e ora mamma per la seconda volta, Marta Romagna è pronta a salire di nuovo sul palco del Piermarini dopo la pausa per la maternità con un ruolo in cui si sente perfettamente a suo agio. Dopo le coppie Svetlana Zakharova-Roberto Bolle e Natalia Osipova-Claudio Coviello sarà lei infatti, accanto al danzatore Marco Agostino, la protagonista de L’histoire de Manon (FOTO), il balletto in scena al Teatro alla Scala di Milano firmato dal coreografo inglese Kenneth Mac Millian, che racconta la tragica storia d’amore tra Manon e il Cavaliere Des Grieux creata dall’abate Prévost e a cui sono ispirate anche le celebri opere liriche di Puccini e Massenet.

Torni sulla scena dopo il secondo figlio. Come si recupera la forma fisica?
E’ dura, forse più del primo. Ci vuole tanto impegno per rimettersi in forma, le ossa del bacino devono tornare al loro posto, i muscoli devono riprendersi. Ma ho scelto di tornare con Manon perché è uno dei ruoli che amo di più e in cui mi sento completamente a mio agio.

E' anche un ruolo che hai ballato tante volte…
Sì e in questi anni ho avuto la fortuna di studiare con i collaboratori di Mac Millian (il coreografo, ndr) che mi hanno tessuto addosso il personaggio. E poi ho avuto un grande esempio: Alessandra Ferri. Negli anni in cui era al Teatro alla Scala l’ho vista provare e danzare Manon sul palco. Ho cercato di estrapolare il meglio della sua interpretazione. Solo pochi giorni fa ho voluto riguardare un suo video per studiare quei dettagli che solo lei aveva. Per me le vere Manon sono Alessandra Ferri e Darcey Bussell.

E il vero Des Grieux?
Sicuramente Roberto (Bolle, ndr). E’ stato anche il mio primissimo partner in questo balletto. Lui è il danzatore che interpreta al meglio questo ruolo. Per il talento, per la sua artisticità, per l’esperienza che anche lui, come me, ha maturato negli anni. Un’esperienza che ora mette a servizio delle nuove generazioni di danzatori. In questi giorni di prove viene spesso in sala a vedere me e Marco Agostino. Ed è sempre pronto a dare consigli tecnici. Ci sono passi a due molto difficili che richiedono tanta forza. L’uomo in L’histoire de Manon deve essere un “carro attrezzi”.

Accanto a te Marco Agostino. Come ti trovi con lui?
Benissimo. Tra noi si è creato subito un feeling profondo. Quando si danza insieme, soprattutto in balletti come L’histoire de Manon o Romeo e Giulietta dove il rapporto tra i due protagonisti è centrale in tutta la storia e in tutto il balletto, dove ci si guarda spesso negli occhi, il feeling è fondamentale. E non è affatto automatico. E solo dopo aver creato questa sintonia emotiva si può iniziare a lavorare su quella tecnica. Marco è un ragazzo molto dolce, con la sensibilità giusta per essere Des Grieux, oltre ad essere un ottimo danzatore.

Des Grieux è un cavaliere che perde tutto, anche la sua ricchezza, per amore di Manon. E per lei arriva ad uccidere. Manon ama la vita e non sa resistere al piacere che le offre. E’ una donna fatta solo di istinto. Come si rende tutto questo sul palco?
In tre ore porti sulla scena tre fasi della vita molto diverse. Manon è prima una 16enne spensierata, poi una donna ricca e sicura di sé, infine è tremante e senza forze. E’ una vita piena e vissuta, che si sviluppa dall’inizio alla fine. Per questo è un ruolo che mi riempie. Tecnicamente c’è un passo base che si ripete nei tre atti e che ogni volta deve essere fatto con un’intenzione diversa. Sono dettagli attraverso i quali passano i personaggi. E la storia diventa leggibile. Così i passi a due cambiano nel corso del balletto: passionali nel primo atto, sviluppati sul gioco del tira e molla nel secondo (in cui Manon è come se volesse dire a Des Grieux: lasciami stare voglio solo i gioielli), nel terzo si snodano sul binomio amore e morte.

Kenneth Mac Millian con il suo balletto ha voluto mostrare la disparità, nel XVIII secolo, tra la grande povertà e la grande ricchezza. Credi ci siano punti di contatto con la società contemporanea?
L’histoire de Manon porta in scena la ricchezza facile che fa perdere di vista i valori, capaci di sfuggire in un attimo. I sentimenti vanno via molto più facilmente dei soldi. Io amo ballare, amo la Scala che è il mio teatro e la mia casa perché qui sono cresciuta. Ma la mia famiglia viene prima di tutto.

Tornando alla tua famiglia, porterai tuo figlio a vederti a teatro?

Francesco, che oggi ha 4 anni, mi ha già visto danzare. Vorrei farlo venire anche questa volta ma ci sto riflettendo. Il finale è molto tragico e non so come potrebbe reagire nel vedere la mamma mal ridotta e moribonda sulla scena. Io e mio marito (Alessandro Grillo, primo ballerino del Teatro alla Scala, ndr) ci stiamo pensando. Federico, invece, ha pochi mesi.

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