Maurizio Galimberti, l’artista delle Polaroid si racconta

Spettacolo
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L’inventore dei fotomosaici festeggia 30 anni di carriera con la mostra Paesaggio Italia, a Venezia fino al 12 maggio. 150 opere in cui ridisegna il Belpaese: "Mi sono mosso come un viaggiatore metodico che si ferma solo nei posti che gli danno emozioni"

di Pietro Pruneddu

Qualsiasi etichetta risulta troppo stretta per Maurizio Galimberti. Fotografo, artista, sperimentatore. Lui ama definirsi “Instant Polaroid artist”. Da trent’anni va in giro per il mondo a scattare immagini per poi manipolarle e ricomporle a suo piacimento. Tutto, rigorosamente, in analogico. Il suo nome è legato a doppio filo alla fotografia istantanea elevata a forma d’arte. Nell’epoca del fotoritocco e della condivisione immediata, Galimberti è rimasto fedele alle Polaroid, diventate marchio di fabbrica del suo successo planetario. Soprattutto grazie agli inconfondibili mosaici di cose e persone. La sua nuova avventura si chiama “Paesaggio Italia”, un progetto doppio che prevede una mostra antologica in esposizione al Palazzo Franchetti di Venezia dal 15 febbraio al 12 maggio e un libro che raccoglie circa 300 immagini. È la personale visione del nostro Paese di un artista fuori dagli schemi.

“Il mio omaggio all’Italia”La mostra è una selezione di 150 opere in cui Galimberti ridisegna l’Italia. “Si tratta di un lavoro portato avanti per anni, senza fretta”, racconta a Sky.it. “Mi sono mosso come un viaggiatore metodico che si ferma solo nei posti che gli danno emozioni”. Ci sono le piazze medievali della Toscana e i ponti di Venezia, gli scogli della Sardegna e le luci della Sicilia. “Ho voluto far emergere la bellezza dei luoghi, come un atto d’amore di un italiano nei confronti del suo Paese”. Una mostra, ha scritto nei giorni scorsi su Facebook, dedicata all'amico fotografo Gabriele Basilico, scomparso il 13 febbraio scorso a 69 anni.

I ritratti a mosaico – L’altra faccia di Maurizio Galimberti è l’arte del ritratto. Dal nulla ha inventato uno stile tutto nuovo. Con i suoi mosaici ha fotografato cantanti, attori, gente comune. Appoggia l’apparecchio sulla faccia del soggetto, gli gira intorno e scatta a ripetizione. “Sono come una zanzara”, ammette. “Da poco ho fotografato Lady Gaga e sapevo a malapena chi fosse”, rivela l’artista lombardo a Sky.it. “Quando feci il ritratto a Johnny Depp lui impazzì letteralmente di felicità. Due settimane dopo mi chiamò un amico da Londra. Era indignato, mi disse che in copertina sul Time c’era un fotomosaico dell’attore americano, copiato dal mio stile. Gli spiegai ridendo che non era un imitatore. Erano proprio i miei scatti, con tanto di firma in pagina”.

Ma il ritratto a cui si sente più legato è quello di Robert De Niro. “Eravamo al Tribeca Film Festival. Lui era nervosissimo, quasi infastidito. Dopo gli scatti mi buttai a terra per mettere in ordine le Polaroid appena fatte. De Niro rimase in piedi, commosso”, racconta Galimberti. "Due giorni dopo mi invitò a casa sua per fare i ritratti a tutta la  famiglia”.   

“Magari ho fotografato il prossimo Papa” – Due anni fa Galimberti ha fatto il ritratto al Cardinale Angelo Scola, attuale Arcivescovo di Milano. “Chi lo sa, magari senza saperlo ho avuto l’onore di lavorare con il futuro Pontefice”, raccontava Galimberti pochi giorni prima delle dimissioni di Papa Benedetto XVI. “Ratzinger ha un volto molto interessante, mi piacerebbe fotografarlo. Sono incuriosito dai “grandi vecchi, come la Regina Elisabetta”. Quanto ai politici, “qualche anno fa ho fatto il ritratto a Silvio Berlusconi. Essendo uno che capisce le cose, ha voluto mettere uno specchio davanti a sé, per vedere esattamente come sarebbe uscito. In tutta la mia carriera è l’unico che ha scelto come mettersi in posa. E alla fine è venuto come voleva lui”.

La poesia delle Polaroid - Galimberti, l’uomo delle Polaroid lavora solo in analogico. “Non sono un eremita che rifiuta la modernità, sono semplicemente fedele al mezzo che so usare meglio. Chi ha deciso che le Polaroid devono andare in soffitta?”. Come Jonathan Franzen, lo scrittore che detesta gli ebook, Galimberti è un fotografo che non riesce a concepire il digitale. “Non c’è pathos, manca l’emozione dello scatto unico e irripetibile. Credo nella poesia delle Polaroid, nel fruscio dei dischi in vinile, nell’odore di un libro di carta”. Secondo il fotografo, il vintage non è una moda passeggera, ma un bisogno fisiologico rispetto al preconfezionato mondo odierno.
Galimberti si considera un precursore del fotoritocco: “Modifico le mie foto da molto prima che arrivasse Photoshop. Uso pennarelli, bastoncini di legno, tappi di penna. La mia mano è il mouse, come un ritocco interiore in cui non esiste il tasto "Annulla". Quello che faccio all’immagine non si può più cambiare. Rimane così per sempre”.

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