Twitter non ci piace. Ecco perché

Spettacolo
Da sinistra: il giornalista Michele Serra, il sindaco di New York Michael Bloomberg e lo scrittore Jonathan Franzen. Credits: Flickr e Getty
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Si allarga il fronte di politici, scrittori, giornalisti che proprio non ce la fanno a vivere in un mondo ridotto a 140 battute. Una rassegna in 5 punti tra accuse di estremismo, perdita di tempo e dipendenza. Fino ad arrivare alle critiche più assurde

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di Nicola Bruno

A volte ritornano: cambia il bersaglio, ma le accuse restano sempre quelle. Alcune le avevamo già sentite per Facebook (uccide la socialità) e, prima ancora, per Google (ci rende stupidi) e i blog (non è “vero” giornalismo). Ma a voler andare indietro nel tempo, anche per la televisione (cattiva maestra) e soprattutto per il telegrafo, accusato in tempi non sospetti di rendere l’umanità meno intelligente. Era il 1888 e così scriveva lo “Spectator” di Londra a proposito del nuovo strumento di comunicazione: “La diffusione costante di asserzioni in forma frammentata, il continuo eccitamento di un sentimento ingiustificato dai fatti, la costante formazione di opinioni frettolose ed errate, è un insieme che alla fine, si potrebbe pensare, deteriorerà l’intelligenza”. E’ passato più di un secolo da allora e ancora oggi si sentono critiche del genere, riferite però a Twitter, un social network che, per la sua brevità e immediatezza, condivide molto con il telegrafo.
A prendere di mira il servizio di microblogging di recente sono state personalità molto diverse tra loro e spesso stimate nei rispettivi ambiti. C’è stato chi l’ha definito uno strumento poco dialogico e propenso all’estremismo (Michele Serra su Repubblica); chi ha detto che rende impossibile amministrare una città (il sindaco di New York Bloomberg); chi trova che sia simile ad una droga (il prestigioso settimanale New Yorker) e chi pensa che metta in pericolo il proprio posto di lavoro (i foto-reporter di Palazzo Chigi). Senza dimenticare, ovviamente, gli anatemi più estremi tipo: “è un media irresponsabile” (il celebre scrittore Johnatan Franzen) oppure “è contro-rivoluzionario e necrofilo” (un sito cubano). Ecco allora una guida in 5 punti alle critiche che più di frequente vengono mosse nei confronti di Twitter.

1. Non favorisce il dialogo, ma l’estremismo - “Violenza verbale (...) sommarietà dei giudizi (...) drasticità (...) E' come se il mezzo generasse un linguaggio totalmente binario, o X o Y, o tesi o antitesi. Nessuna sintesi possibile". Non ha usato certo parole concilianti Michele Serra quando nei giorni scorsi ha dedicato una delle sue Amache a Twitter. Provocando, come era facile prevedere, un fiume di reazioni indignate (molte delle quali hanno frainteso il finale tranchant e autoironico “Twitter mi fa schifo”). Ad ogni modo Serra è poi tornato sull’argomento per spiegare (in maniera più pacata) il suo punto di vista: “Ci sono cose che sono complesse e addirittura complicate, e dunque irriducibili alle pochissime parole che Twitter concede”.
La pensa così anche il celebre scrittore Jonhatan Franzen che, dopo essersela presa con Facebook e gli ebook, ha pensato bene di scagliarsi anche contro Twitter: “E’ difficile citare i fatti o argomentare in 140 battute. E’ come se Kafka avesse deciso di fare un video per riassumere La Metamorfosi. O come scrivere un romanzo senza la lettera ‘P’. Rappresenta l’ultimo stadio dell’irresponsabilità”, ha spiegato lo scrittore, provocando anche qui polemiche a non finire, con tanto di hashtag #JonathanFranzenHates che l’ha messo alla berlina (a volte anche in maniera intelligente, nonostante le 140 battute).
E se è facile ribattere che Serra e Franzen parlano di qualcosa che non conoscono, cosa dire di fronte alle dichiarazioni di Tim Berners-Lee, lo scienziato che il web l’ha inventato? Durante un intervento ha definito il social network “non un posto per una discussione ragionata” in cui prevalgono “molti messaggi estremi. Abbiamo bisogno di qualcosa di più sofisticato”.

2. Una perdita di tempo - La proposta di Berners-Lee potrebbe interessare al sindaco di New York Michael Bloomberg che di recente è sbottato: "Sono soffocato dai social network, non mi lasciano lavorare". Bloomberg non è affatto un luddista, anzi con il web 2.0 ha sempre avuto una buona dimestichezza. Sono oltre 230.000 i follower che lo seguono su Twitter e tenergli testa non deve essere per niente facile: “Abbiamo un referendum su ogni singola cosa che facciamo (...) Governare una città come New York richiede programmazione a lungo termine, progetti decennali o ventennali, che vengono bocciati fulmineamente dalla marea di ‘no’ prodotta in Rete”.
Twitter è solo un perditempo anche per Franzen (“C’è un enorme bisogno di storie, grandi, elaborate e complesse che solo uno scrittore solitario e concentrato può produrre. Se non assediato dal cicaleccio assordante di Twitter”) e per l’allenatore del Manchester United Sir Alex Ferguson che si è sfogato contro i giocatori che twittano: “Sinceramente non lo capisco. C’è un milione di cose diverse che si possono fare nella vita, andare in biblioteca e leggere un libro. E’ una perdita di tempo ma tutti sembrano volerlo fare”.

3. E’ una droga - In tutto ciò poteva mai mancare l’accusa di dipendenza, spesso mossa nei confronti di Facebook e la tv? “E’ come crack per persone dipendenti dai media. Mi spaventa, non perché sono moralmente superiore, ma perché penso di non poterlo gestire”, ha confessato uno spaventato giornalista del New Yorker, prestigioso settimanale statunitense. E mentre arrivano alcune ricerche a spiegarci che Twitter può procurare una dipendenza superiore a quello di alcool e sigarette, anche su questo aspetto Johnatan Franzen non poteva mancare di dire la sua: “Il triste scenario di un’umanità tecno-narcotizzata, che si sente viva solo perché consuma senza interruzione live news che fra tre minuti non conteranno più niente, mi fa credere che si tratti di una droga malvagia e conformista".

4. Toglie il lavoro ai giornalisti - Dalla rete alle piazze il passo è breve anche per il fronte anti-Twitter: “Per fare le foto, ci sono i fotoreporter, basta foto su Twitter" ha reclamato alcuni giorni fa un gruppo di fotografi assiepati fuori Palazzo Chigi. Durante il tavolo con i sindacati per la riforma del lavoro, il Governo non ha concesso i permessi di ingresso ai giornalisti. E quando l’account della Cgil (sempre molto attivo) ha pubblicato su Twitter una foto della riunione a porte chiuse, è subito scattata la rabbia di chi, con gli scatti, ci vive. Il sindacato si è poi scusato con i fotografi, anche qui in 140 battute più foto. Ma la discussione “Twitter è/non è giornalismo” non si ferma certo qua. Anzi, tra bufale a non finire e tutti i politici, reporter e cittadini che iniziano ad usarlo per comunicare eventi in maniera immediata, diventerà un fronte sempre più caldo.

5. Necrofilo e pericoloso - La palma di questa categoria va senza ombra di dubbio al portale web filogovernativo Cubadebate che, in relazione alle false notizie di morte di Fidel Castro fatte circolare su Twitter, ha parlato di “controrivoluzionari necrofili” in azione sul sito di microblogging. Contro Twitter (e Facebook) si è scagliato di recente anche Renzo Bossi che ha presentato un’interrogazione al consiglio comunale lombardo per vietare i social network dal momento che “il traffico dei dati derivanti da queste applicazioni produce conseguenze sul piano economico in termini di maggiori costi per l’ente pubblico”. Bossi jr. è arrivato a scomodare anche gli eventuali “furti d’informazioni” per vietare Twitter e gli altri servizi ai consiglieri. Preoccupazioni, queste, che a fine Ottocento venivano espresse anche nei confronti di quel telegrafo che poi si è dimostrato molto meno innocuo del previsto.

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