"Io odio Fabri Fibra": infanzia di un rapper italiano

Spettacolo
Fabri Fibra (Credits: Kikapresse)
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In una biografia pubblicata da Salani, Michele Molina racconta le "controstorie" di un "rivoluzionario del rap". A cominciare dai primi anni trascorsi a Senigallia. LEGGINE UN'ANTICIPAZIONE

di Michele Monina

Fabri Fibra, in realtà, si chiama Fabrizio, di cognome Tarducci. Solo più tardi, quando comincerà a fare rap, diventerà per tutti Fabri Fibra, fra l’altro dopo essere stato per qualche anno Fabri Fil, l’emcee degli Uomini di Mare. Ma andiamo con ordine.
Fabrizio Tarducci nasce il 17 ottobre 1976 a Senigallia, si diceva. Nella sua famiglia, appena quattro anni dopo, arriverà un altro bambino, suo fratello minore Francesco, destinato a sua volta a diventare un nome molto conosciuto nel mondo del rap italico come Nesli.
I due, per lungo tempo, saranno vicini, accomunati dalla passione per la musica più che per le tematiche affrontate, tanto sfrontato l’uno quanto intimista l’altro. Poi, come vedremo a momento debito, tra i due scenderà il gelo. Modi troppo diversi di intendere il mondo, anche se il sangue rimane, e l’affetto pure.

Fibra proseguirà nel suo percorso all’interno del rap, mentre Nesli, del tutto intenzionato a prendere le distanze da quel mondo che gli sta stretto, probabilmente anche per la presenza di una figura ingombrante come suo fratello, cambierà strada, spostandosi verso un cantautorato atipico, a suo modo fuori dagli schemi.
Ma durante la loro infanzia, quando il rap non solo non era ancora arrivato a lambire le coste dell’Adriatico, ma neanche il resto dell’Italia, Fabrizio e Francesco crescono insieme, come tutti i fratelli del mondo.
La loro non sarà un’infanzia semplice, però. Ne parleranno entrambi nelle loro canzoni, dando in pasto al pubblico dei particolari anche intimi, apparentemente da non raccontare a estranei. Poi, è chiaro, si può stare a disquisire se il pubblico, il proprio pubblico, sia da intendersi o no come un estraneo. Se le decine, forse centinaia di migliaia di persone che vengono in contatto con la loro musica, con le storie che vanno a raccontare, sia da identificare come un’entità vera e propria, non quindi come qualcosa di astratto.

Perché a volte succede (sarà capitato anche a voi) di aver talmente tanto bisogno di sfogarsi, di togliersi un peso dal cuore, da decidere di farlo non con un amico o con una persona vicina, ma con un estraneo, qualcuno che, in tutti i casi, non incontreremo più e porterà lontano da noi lo sfogo che abbiamo fatto.
Qualcuno che non ci può giudicare. O che se anche può farlo e lo fa, non entra realmente nel nostro vissuto, portandosi quindi quei giudizi altrove, in un posto dove sicuramente non possono farci alcun male.
Avete presente le tante scene di film americani in cui il protagonista di turno si confida con un barista appena incontrato, un bicchiere di scotch in mano e la disperazione nell’altra?

Così è per Fibra, che in Applausi per Fibra, singolo che lo lancerà nell’empireo delle charts italiane, racconta di come la sua infanzia sia stata difficile, con la presenza costante degli assistenti sociali, i genitori in perenne lite tra loro, al punto da venire alle mani.
«Guardando gli altri mi sembravano così lontani/ chiedendomi se a casa loro volassero i divani/ L’ultima volta che mio padre e` andato a letto con mia madre/ prese a calci una parete e in testa gli cadde una trave/ e mio fratello che mi chiese quanto fosse grave/ fatto sta che litigando si divisero le strade/ anche se restano le urla e rimangono le grida/ per casa, per strada raga ».

Questo il quadretto del Fabrizio bambino che esce da Applausi per Fibra, un quadretto dove in effetti compare anche Nesli. Un quadretto che poi, nella strofa successiva, continua così, tra il disperato e l’ironico: «Ho perso la testa troppe volte da ragazzino/ a ogni flash mi nascondevo in uno stanzino/ ho ancora qualche problema a socializzare/ ma tutto sommato non diresti che sto andando male ».
Come dargli torto? Nesli andrà anche oltre, se è possibile quantificare i disagi e i dispiaceri di un bambino.
Nei brani del suo disco d’esordio per la Universal, stessa casa discografica del fratello, Le verità nascoste, terzo album della sua produzione, racconterà di come, da ragazzino, venne arrestato per aver erroneamente sparato a un amico, riducendolo in fin di vita.
Racconterà del suo panico, mentre la polizia lo portava in questura, della sua paura per se stesso prima ancora che per l’amico, moribondo. O meglio, racconterà di come, in quel momento, la morte del suo amico, fortunatamente poi scampata, rappresentasse per sè un pericolo, più che un dolore.

Un pericolo perché, se il suo amico non ce l’avesse fatta, per lui si sarebbero aperte le porte del carcere, o almeno così gli avevano detto i gendarmi (che lui non chiama così, ovviamente, ma che nel racconto sembrano tanto i carabinieri cattivi che imprigionano Lucignolo e Pinocchio).
Il brano, davvero drammatico, è Un giorno qualunque (anche se della cosa racconta pure nel singolo Nesli Park, molto meno tragico nel suo incedere). «Un giorno qualunque/ un giorno che non scordi più / le ho fatte tutte le cazzate della gioventù / sono Tarducci Francesco/ reo confesso/ di una vita spesa a fare solo questo » recita il ritornello.
Nel testo racconta non solo di come il colpo che ha ferito quasi mortalmente il suo amico sia partito per sbaglio dalla pistola che Nesli teneva in mano mentre i due andavano in motorino, ma anche le reazioni dei genitori, il padre a corrergli contro in questura come un black bloc, e la madre che l’ha fatto confessare, materna.

E racconta di come la polizia l’abbia messo sotto torchio, manco fosse un delinquente, promettendogli un futuro in carcere, tra i suoi pari. Una brutta vicenda raccontata senza filtri, né quelli edulcorati di una fiaba o eroici di una narrazione epica, né quelli, che probabilmente avrebbe usato suo fratello, sarcastici e irriverenti. A sentirla raccontare dalle loro voci, con la tipica cadenza marchigiana, Fibra con la zeppola, Nesli con la voce carica, sovraccarica di emozioni, pronta a esplodere in pianto, l’infanzia dei fratelli Tarducci sembra sia stata davvero brutta.
Difficile, ma soprattutto vissuta sempre al confine con la tragedia, si tratti di quella quotidiana di una famiglia che va allo sfascio, o quella quasi noir dell’episodio estremo raccontato da Nesli.
Non stupisce, quindi, che quando Fibra incontrerà il rap, da adolescente, inizierà a scrivere rime in cui si descriverà come uno sfigato, uno con problemi con le ragazze, con problemi a confrontarsi con le regole della società , con una vita poco invidiabile, se non addirittura da guardare con scherno.
Del resto, qui sta il segreto di chi fa del sarcasmo la propria arma non convenzionale, per poter colpire tutti, ma proprio tutti, bisogna partire da se stessi, così da non lasciare modo agli altri di fare prigionieri. Ma come e quando il giovane artista che ancora non sa neanche lontanamente di essere tale incontra il rap? Questa è la vera domanda cui questo capitolo intende dare risposta. E la risposta è durante l’adolescenza, per la precisione nei primi anni delle superiori.

Due sono gli incontri che segnano il futuro di Fibra, all’epoca semplicemente Fabrizio Tarducci. Il primo è con un rapper romano, Militant A, l’altro con un produttore e dj della sua stessa città, Lato. L’incontro con il primo, in realtà, non e` un incontro nel senso tradizionale del termine. Fabrizio vede Militant A su un palco, durante un concerto degli Assalti Frontali, la crew nata sulle ceneri dell’Onda Rossa Posse di cui e` tuttora leader indiscusso.
I ragazzi romani sono a Senigallia per presentare il loro album d’esordio, Terra di nessuno.
E' il 1992, Fabrizio ha appena quindici anni. Il fenomeno delle posse ha da poco infiammato lo stivale, ma non le Marche. Al concerto, infatti, sono presenti una ventina di persone. Ce ne parlerà più avanti lo stesso Fibra. Nei fatti, però, nonostante la situazione intima, Militant A e soci danno vita a una gig davvero infuocata, arsi dal sacro fuoco della passione. Quello che hanno da dire è così urgente da far passare in secondo piano un flow non esattamente impeccabile e la quasi totale assenza di pubblico.
Le parole di Luca Mascini, questo il vero nome del leader degli Assalti, arrivano in faccia a Fabrizio come un pugno. Magari siete giovani. Siete coetanei di Fibra, nati sul finire degli anni Settanta, o ancora più piccoli, e ancora studiate alle superiori. Siete giovani, quindi, e avete visto tutti i film di Jack Black, ne siete rimasti entusiasti. Sapete a memoria ogni singola battuta di School of rock, anche se siete appassionati di hiphop, e davanti allo specchio del bagno, la porta chiaramente chiusa, manco leggendo un giornalino porno (esistono ancora oggi che c’è la rete?), imitate il gioco con le sopracciglia del corpulento attore americano.

Il nome John Belushi, per voi, non significa niente. O quantomeno significa poco. Sapete che è esistito qualcuno che si chiamava così, ma non avete presente esattamente cosa facesse. Belushi, per voi, significa Jim Belushi, quello della sit-com La vita secondo Jim.
Se le cose stanno così, miei cari, non sapete cosa vi siete persi. Avete vissuto una vita monca, priva di un’opportunità importante. Quindi smettete per qualche ora di leggere questo libro, riponetelo sul comodino, o se siete tra quanti leggono in bagno, lì, sulla cesta dei panni sporchi, e andate a vedervi tutta la filmografia di John Belushi.
E ' morto giovane, John, non ci impiegherete molto a mettervi in pari. Bene, se avete seguito i miei consigli, adesso, saprete che Jack Black, grande attore dei nostri giorni, deve qualcosa di più di un grazie a John Belushi, e che il suo immortale Dewey Finn, protagonista di School of rock, appunto, non sarebbe mai esistito senza un film come The Blues Brothers.
Copyright Adriano Salani Editore S.p.A.

Tratto da Michele Monina, Io odio Fabri Fibra, Salani, pp.192, euro 13

Michele Monina vive a Milano. È scrittore, giornalista e autore televisivo; come critico musicale ha collaborato con Tutto Musica, Rolling Stone, Rockstar, e come reporter con GenteViaggi, GQ, Marie Claire.
Ha lavorato accanto a Cristina Donà, Caparezza e Malika Ayane; è autore di biografie di artisti tra i quali Vasco Rossi, Laura Pausini e Lady Gaga.

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