La decisione della Svizzera di non estradare il regista negli Stati Uniti spacca in due l'opinione pubblica, tra chi tira un sospiro di sollievo e chi sostiene che vada punito
Il giorno dopo la decisione svizzera di non concedere l'estradizione a Roman Polanski il mondo dello spettacolo (e della giustizia Usa) si divide. Il regista di origine polacca, accusato di aver stuprato una tredicenne nel 1977, è ora libero e avrebbe già lasciato il suo chalet di Gstad.
Il portavoce del Dipartimento di Stato Philip Crowley ha detto nel consueto briefing quotidiano: "Siamo delusi perché lo stupro di una ragazza di 13 anni da parte di un adulto è un delitto. Continueremo a cercare giustizia in questa vicenda e studieremo le possibilità ".
Di tutt'altro tono le dichiarazioni di Emmanuelle Seigner, moglie del regista: "E' la fine di un incubo. E' con immenso piacere che apprendo della liberazione di mio marito. Per i miei figli e per me è la fine di un incubo che è durato più di nove mesi", sottolinea la Seigner in un comunicato inviato all'agenzia France Presse. "Fremo all'idea di ricominciare a fare dei progetti e a riprendere una normale vita di famiglia, soprattutto per i miei bambini che non meritavano tutte queste sofferenze.
Il portavoce del Dipartimento di Stato Philip Crowley ha detto nel consueto briefing quotidiano: "Siamo delusi perché lo stupro di una ragazza di 13 anni da parte di un adulto è un delitto. Continueremo a cercare giustizia in questa vicenda e studieremo le possibilità ".
Di tutt'altro tono le dichiarazioni di Emmanuelle Seigner, moglie del regista: "E' la fine di un incubo. E' con immenso piacere che apprendo della liberazione di mio marito. Per i miei figli e per me è la fine di un incubo che è durato più di nove mesi", sottolinea la Seigner in un comunicato inviato all'agenzia France Presse. "Fremo all'idea di ricominciare a fare dei progetti e a riprendere una normale vita di famiglia, soprattutto per i miei bambini che non meritavano tutte queste sofferenze.