Gli scoiattoli inglesi potrebbero aver portato la lebbra all'uomo. Ecco lo studio

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I ricercatori hanno analizzato gli antichi genomi del batterio di questa malattia, estratti dai corpi sepolti in un lebbrosario medievale della città inglese di Winchester e dai resti di roditori ritrovati nella bottega di un conciatore di pelli. I risultati mostrano una corrispondenza tra il dna dei microrganismi 

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Gli scoiattoli inglesi potrebbero aver portato la lebbra agli esseri umani. A dirlo è uno studio delle università di Basilea e Zurigo, pubblicato il 3 maggio su Current Biology. I ricercatori hanno analizzato gli antichi genomi del batterio della lebbra, estratti dai corpi sepolti in un lebbrosario medievale della città di Winchester e dai resti di roditori ritrovati nella bottega di un conciatore di pelli. I risultati hanno dimostrato che il microrganismo che circolava tra umani e scoiattoli era lo stesso, ma non è ancora chiaro se siano stati i piccoli roditori a infettare l'uomo o viceversa.

Lo studio

"Con la nostra analisi genetica siamo stati in grado di identificare gli scoiattoli rossi come il primo animale antico ospite della lebbra", spiega Verena Schuenemann, coordinatrice dello studio e paleogenetista dell'Università di Basilea. "La storia della lebbra è molto più complessa di quanto si pensasse. Finora non si è considerato il ruolo che gli animali potrebbero aver avuto nella trasmissione e nella diffusione della malattia in passato e, di conseguenza, la nostra comprensione della storia della lebbra è incompleta. Questa scoperta è rilevante anche oggi poiché gli animali ospiti non vengono ancora presi in considerazione, anche se potrebbero essere significativi per comprendere l'attuale persistenza della malattia nonostante i tentativi di eradicazione". Questa nuova modalità di studio si è diffusa sempre di più dopo il periodo della pandemia: "Sulla scia del Covid-19, gli animali ospiti stanno finendo al centro dell'attenzione per comprendere la comparsa e la persistenza delle malattie", racconta Sarah Inskip dell'Università di Leicester, che ha collaborato allo studio. Questo approccio è ispirato al principio della salute unica ('One Health') che unisce esseri umani, animali ed ecosistema e si sta rivelando utile anche contro la lebbra, una patologia causata dal batterio Mycobacterium leprae che infetta ancora oggi circa 200.000 persone ogni anno, soprattutto nel Sud del mondo. Macchie, lesioni cutanee, deformità, ulcere e a volte con conseguenze anche gravi sono tra i principali sintomi ed effetti della malattia. 

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