Fisica, il mistero dei buchi bianchi. L'intervista di Sky TG24 a Carlo Rovelli

Scienze
Emiliano Scalia

Emiliano Scalia

Il nuovo libro di Carlo Rovelli esplora i fratelli minori dei buchi neri, entità spazio-temporali talmente sfuggenti che gli scienziati stanno ancora dibattendo sulla loro effettiva esistenza. In un viaggio che si divide tra fisica, filosofia e poesia

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Abbiamo incontrato Carlo Rovelli a Milano, alla presentazione del suo ultimo lavoro, Buchi bianchi. I suoi libri vendono, letteralmente, milioni di copie e sono tradotti in decine di lingue.

Questo è forse il suo lavoro più complesso, perché tratta temi molto astratti che difficilmente un profano può recepire nella loro totalità. Ma la capacità di Rovelli, fisico teorico tra i più importanti al mondo, di rendere argomenti come i buchi bianchi “universali” è esattamente il motivo per cui la sua opera di divulgazione è apprezzata ovunque. Buchi bianchi, per ammissione dell’autore, è un libro molto personale che cerca di intersecare la pura divulgazione scientifica con una specifica visione del mondo. Si avvicina molto, per certi versi, a essere un libro di poesie.

L'immagine grafica di un buco nero

Professor Rovelli, secondo lei perché i suoi libri hanno tanto successo?

“È una domanda che mi faccio spesso, e la risposta che mi sono dato è che -forse- i lettori hanno capito che il mio tentativo è quello di unire la fredda scienza e la continua riflessione che ognuno di noi fa sul senso della vita, far parlare tra loro scienza e vita”

E in che modo far stringere un rapporto tra vita e conoscenza se non attraverso l’esercizio del dubbio?

“Io non so se esistono davvero, i buchi bianchi. Questo libro è il racconto di un’ipotesi, di una possibilità che stiamo studiando e che chiarirebbe ciò che ancora non sappiamo sui buchi neri, sulla loro vita e sulla loro fine. Una delle ipotesi è che i buchi neri, attraverso un processo quantistico, si trasformino in buchi bianchi”.

La cosa curiosa, che Rovelli descrive perfettamente nel suo libro, è che prima che lui e il gruppo di quelli che ci lavorano iniziasse a verificare la possibilità dell’esistenza dei buchi bianchi (che, ripetiamo, non sono “altro” rispetto ai buchi neri ma una loro eventuale evoluzione) non si sospettava nemmeno che da un corpo con un campo gravitazionale così forte si potesse uscire. E invece no. Da un buco nero non si esce, ma quando si trasforma in un buco bianco è possibile venirne fuori. Come? Complicato.

“È importante capire che sul bordo dell’orizzonte del buco nero il tempo rallenta fin quasi a fermarsi. Ma in realtà è una questione di prospettiva. Vediamo il tempo rallentare perché siamo lontani ma se fossimo lì, esattamente sull’orizzonte del buco nero, il tempo passerebbe normalmente. In Buchi bianchi cerco di spegare che l’elemento tempo non è unico. Il tempo di un processo visto da lontano è diverso dal tempo dello stesso processo visto da lì. È questo gioco di prospettive che crea l’orizzonte”

E a proposito di poesia e di come la scienza (soprattutto la fisica teorica) non sia mai solo scienza ma dreni continuamente elementi vicini alla filosofia, ecco come la scoperta rinascimentale della prospettiva assuma un significato davvero inaspettato.

“David Finkelstein (fisico che ha studiato le equazioni di Einstein sulla relatività) ha scritto sulla prospettiva e su uno specifico lavoro di Albrecht Dürer che si chiama Melancholia, intepretando la malinconia evidente in alcune figure dell’incisione con la consapevolezza che qualsiasi cosa l’essere umano veda, la vede solo da una parte. E che, di conseguenza, lessere umano non potrà mai accedere all’assoluto perché ciò che vede è sempre parziale”.

Il progresso del pensiero scientifico, dice Rovelli, è un continuo buttare via elementi che non servono, o superati o sbagliati. Questo, però, potrebbe essere angosciante perché toglie quei pezzi al controllo dell’uomo. O no?

“E’ esattamente il contrario. Quello che ci deve fare paura è la tentazione di avere tutto sotto controllo, è quello ciò che ci fa stare male. Noi non abbiamo il controllo di noi stessi né di quello che ci succede. C’è sempre qualcosa da mantenere e qualcosa da buttare via”. E va fatto senza timori.

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Professore, quale è stata la controversia più importante della scienza moderna?

“Quella su Copernico, durata un secolo e mezzo: la terra si muove o non si muove? La discussione si è risolta solo dopo Galileo e Newton. Tutte le grandi dispute del passato si sono risolte. O la controversia si è superata, nel senso che entrambe le parti avevano torto, oppure ha prevalso una delle due. Ma tutte si sono risolte. Le idee sono un terreno dove si entra, ci si sposta e si impara attraverso lo scambio. È in questo modo che avanza il sapere scientifico. E la crescita è la ricerca di equilibrio tra coraggio e incoscienza. L’equlibrio è necessario perché se si rischia troppo si dicono scempiaggini, ma se non si rischia niente non si va da nessuna parte. Abbandonare il terreno conosciuto per addentrarsi in terra incognita. Quello è il coraggio che serve al progresso scientifico”. I social, l’aumentare dei media disponibili e di contenuti spesso non verificati hanno certamente stimolato la divulgazione, ma hanno anche creato un terreno di frontiera dove spesso non si riconosce ciò che è vero da ciò che non lo è. “Io non credo che siamo così ignoranti come ci descriviamo. Credo ci siano più cultura e intelligenza diffuse di quanto ci raccontiamo. La complessità e l’ignoranza ci sono sempre state e gli uomini hanno sempre detto stupidaggini. Forse adesso si vede di più”.

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