Una ricerca congiunta delle Università di Padova e Firenze su un nuovo diamante super profondo ha confermato la presenza di acqua a grandissime profondità, rinvenendo anche la presenza delle altre sostanze, con possibili conseguenze sulla sismologia
Un nuovo studio congiunto delle Università di Padova e Firenze, pubblicato su Nature, ha permesso di scoprire qualcosa di più sugli elementi che costituiscono il mantello terrestre. La ricerca, condotta con l'appoggio degli atenei dell'Alberta (Canada), del Northwest (Usa), di Glasgow (Gran Bretagna) e di Bayreuth (Germania), è incentrata sui cosiddetti "diamanti super profondi", estremamente rari, che si formano ad una profondità compresa tra i 300 e i 1000 chilometri nel mantello terrestre. Questi elementi rappresentano delle vere e proprie capsule inerti, in grado di trasportare "frammenti" di terra profonda fino alla superficie, senza quasi alcuna alterazione chimica, permettendo agli scienziati di avere nuove informazioni sugli elementi che costituiscono il cuore del nostro pianeta.
L'analisi del diamante
Dall'indagine sul diamante super profondo in questione, gli scienziati hanno potuto avere conferma della presenza di acqua a grandissima profondità, almeno fino a 600 chilometri sotto terra, rinvenendo però anche tracce di forsterite pura, un raro minerale del mantello terrestre. Le reazioni chimiche al suo interno indicano anche la presenza di metano, idrogeno molecolare (H2) e di ferro metallico, ritenuto finora presente solo nel nucleo terrestre. L'effettiva presenza di acqua a grandissime profondità nella Terra era stata già scoperta nel 2014 grazie ad un altro diamante super profondo, "tuttavia - sostiene Luca Bindi, del Dipartimento di Scienze della Terra di Firenze - con questo nuovo studio non solo confermiamo che l'acqua deve essere assolutamente presente tra la zona di transizione e il mantello inferiore, ma che a quelle profondità dobbiamo anche avere altri fluidi, come il metano e l'idrogeno molecolare".
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Possibili conseguenze sulla sismologia
La scoperta potrebbe avere delle conseguenze non trascurabili anche sui sismi e sulle strategie e tecniche per analizzarli da parte dei sismologi. Secondo Fabrizio Nestola, del Dipartimento di Geoscienze di Padova, "non si può escludere che tali percorsi possano essere un'ulteriore complessità da considerare per i sismologi che studiano lo sviluppo di alcuni terremoti estremamente profondi che talvolta raggiungono magnitudo 7 e che si verificano a profondità superiori ai 600 chilometri. La letteratura scientifica ritiene che siano correlati alle placche in subduzione, e il nostro articolo non fa che supportare questa ipotesi".