Conan, il batterio da record sopravvissuto per un anno fuori dalla Iss

Scienze

Il risultato, descritto sulla rivista Microbiome, suggerisce che Deinococcus radiodurans potrebbe sopravvivere in condizioni ancor più estreme

Deinococcus radiodurans, il batterio dalla forma sferica scoperto nel 1956 in una scatola di carne macinata, è ancor più resistente del previsto. Soprannominato “Conan il batterio” e classificato come la “forma di vita più resistente alle radiazioni”, è sopravvissuto a un anno di esposizione fuori dalla Stazione spaziale internazionale durante l’esperimento Tanpopo.

Il risultato, descritto nel dettaglio sulle pagine della rivista specializzata Microbiome, suggerisce che Deinococcus radiodurans potrebbe sopravvivere in condizioni ancor più estreme, tanto da essere potenzialmente in grado di migrare su altri Pianeti e distribuire la vita nell’intero Universo. 

L’esperimento del dettaglio 

 

I pannelli contenenti le cellule della specie batterica Deinococcus radiodurans, giunti sull’Iss a bordo della navicella SpaceX Dragon nel 2015, sono stati esposti per un anno nello spazio a livello della Exposed Facility del Japanese Experiment Module, fissati a un’apposita struttura (Exham), tramite il braccio robotico Kibo. Una volta terminato l’esperimento, finalizzato a valutare sopravvivenza del batterio alla radiazione con una lunghezza d’onda maggiore ai 200 nm, le cellule sono state rimandate a Terra, dove sono state analizzate presso i laboratori della Tokyo University of Pharmacy and Life Science (Giappone), del German Aerospace Center (Dlr, Colonia), del Vienna Metabolomics Center (ViMe) dell’Università di Vienna e del Center for Microbiome Research della Medical University Graz.

 

I risultati dello studio

 

Dalle analisi è emerso che le cellule di “Conan il batterio”, oltre ad essere riuscito a sopravvivere in quel ambiente estremo, non presentavano alcun danno morfologico. Nello specifico, Deinococcus radiodurans è risultato capace di resistere anche al vuoto estremo, alle fluttuazioni di temperatura, all’essiccazione, al congelamento e alla microgravità.

“Queste indagini ci aiutano a comprendere i meccanismi e i processi attraverso i quali la vita può esistere oltre la Terra, ampliando le nostre conoscenze su come sopravvivere e adattarsi nell’ambiente ostile dello spazio esterno”, ha commentato Tetyana Milojevic, coordinatrice del team di biochimica spaziale presso l’Università di Vienna. “I risultati suggeriscono che, grazie al suo efficiente sistema di risposta molecolare, la sopravvivenza di D. radiodurans nell’orbita terrestre bassa per un periodo anche più lungo sia possibile, e indicano che viaggi ancora più lunghi e più lontani siano affrontabili da organismi con tali capacità”. 

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