L’intelligenza artificiale potrà prevedere la stabilità dei pianeti

Scienze

Si chiama Spock ed è un simulatore che permette di risparmiare decine di migliaia di ore di calcolo. A guidare la scoperta, Daniel Tamayo della Princeton University

Passi in avanti nell’intricato (e complesso) sistema di verifica della stabilità dei pianeti. Grazie all’intelligenza artificiale e a un modello chiamato Spock (Stability of Planetary Orbital Configurations Klassifier) sarà possibile capire quali corpi celesti hanno maggior possibilità di sopravvivere. Lo ha sviluppato un gruppo di ricerca guidato da Daniel Tamayo della Princeton University, negli Stati Uniti d’America, che ha poi pubblicato lo studio sulla rivista Usa Proceedings of the National Academy of Sciences, Pnas.

 

L’algoritmo che simula la vita dei pianeti

 

Come spiega lo stesso Tamayo sul sito della Princeton University, “riuscire a identificare quali sistemi planetari sono stabili e quali instabili è un problema affascinante e difficile". Questo perché per assicurarsi che un sistema planetario sia stabile gli astronomi devono calcolare i movimenti dei corpi che lo popolano e interagiscono fra loro per miliardi di anni. In pratica, l'impresa è proibitiva dal punto di vista computazionale, però si tratta di un calcolo fondamentale per capire quali sistemi planetari sono destinati a diventare stabili come il nostro e a sopravvivere. Per superare il problema Tamayo ha deciso di accelerare il processo combinando modelli delle interazioni dei pianeti con metodi di apprendimento automatico, risparmiando decine di migliaia di ore di calcolo. 

 

Spock, un modello 100 mila volte più rapido

 

Invece di simulare una data configurazione per un miliardo di orbite, il nuovo modello simula tutte le possibili configurazioni per dieci mila orbite, che richiede solo una frazione di secondo. Da questo si calcolano le dieci dinamiche principali del sistema e con un algoritmo di apprendimento automatico si lasciano andare avanti per un miliardo di orbite per verificare se effettivamente restano stabili. "Abbiamo chiamato questo modello Spock, Stability of Planetary Orbital Configurations Klassifier – specifica Tamayo - in parte perché il modello determina se i sistemi vivranno a lungo e prospereranno”. Spock centra l’obiettivo cento mila volte più veloce del precedente approccio, rompendo il collo di bottiglia computazionale. "Questo nuovo metodo fornirà una finestra più chiara nelle architetture orbitali dei sistemi planetari al di là del nostro" conclude il leader del progetto.

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