Uno studio svela nuovi dettagli sull’eruzione del Vesuvio del 79 d.C

Scienze
Immagine di archivio (Getty Images)
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Analizzando i resti delle vittime del cataclisma ritrovati sulla spiaggia di Ercolano, i ricercatori dell’Università Federico II hanno ricostruito la loro tragica fine 

Un nuovo studio svolto dal gruppo di ricerca dell’Università di Napoli Federico II, coordinato dall’antropologo Pier Paolo Petrone e da Claudio Buccelli del dipartimento di medicina legale, ha svelato nuove informazioni sull’eruzione del Vesuvio del 79 d.C che distrusse Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis. La ricerca è stata resa possibile grazie alla collaborazione con l’archeologo Francesco Sirano, direttore del parco archeologico di Ercolano. 

 

La tragica fine degli abitanti di Ercolano

I risultati ottenuti dagli scienziati hanno dimostrato che le 300 vittime di Ercolano, i cui resti sono stati rinvenuti sulla spiaggia della città campana, persero la vita non appena entrarono in contatto con la nube ardente di gas e ceneri dalla temperatura di almeno 500 gradi causata dall’eruzione del vulcano. Inoltre, i loro tessuti furono vaporizzati in meno di 10 minuti.
“Abbiamo dimostrato in modo definitivo che quelle persone sono morte all’istante, nel momento stesso in cui sono state avvolte dalla nube ardente dell’eruzione, e non per asfissia come si credeva in precedenza”, dichiara Pier Paolo Petrone. “Le vittime si erano rifugiate nei ripari delle barche dell’antica spiaggia, ma qui sono state uccise dalla nube piroclastica che, dopo aver attraversato velocemente la città, aveva raggiunto la spiaggia”, conclude l’antropologo.

I dettagli dello studio

Nel corso degli ultimi decenni sono state condotte varie indagini archeologiche e antropologiche nell’antica spiaggia di Ercolano che hanno permesso di rintracciare le spoglie di oltre 300 vittime. Studiando i resti ossei e analizzando i numerosi ossidi di ferro rinvenuti negli strati di cenere, i ricercatori dell’Università Federico II sono riusciti a ricostruire la tragica morte degli abitanti della città.
“Le condizioni in cui abbiamo trovato le vittime indicando che quelle persone sono morte appena sono state investite dalla nube di ceneri e gas, come dimostrano i loro crani esplosi per effetto del calore estremo”, spiega Pier Paolo Petrone.
“Durante gli scavi avevamo trovato incrostazioni rossastre sia nella cenere sia sugli scheletri e le analisi biochimiche hanno dimostrato che questi residui sono ossidi di ferro, identificati quali prodotti della degradazione dell’emoglobina umana”, conclude l’esperto.
La presenza degli ossidi indica che i tessuti e i fluidi corporei delle vittime sono stati vaporizzati immediatamente dopo la morte.

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