Usando il Dna lo screening di massa è a elevata precisione

Scienze
Foto di archivio (Getty Images)

La tecnica è stata messa a punto sui dati di 400 mila britannici e dimostra come sia possibile tracciare il rischio di almeno 5 malattie su ampie porzioni di popolazione 

Attraverso l’utilizzo del Dna lo screening di massa può diventare estremamente efficace, raggiungendo risultati ad altissima precisione. Emerge da uno studio pubblicato dalla rivista Nature Genetics e condotto dai ricercatori del Mit, Institute of Technology, in Massachusetts, e di Harvard. Con questa tecnica, testata sul materiale genetico di 400 mila persone, è possibile riconoscere ampie parti di popolazione i cui rischi di contrarre malattie sono più alti. Cinque le patologie analizzate tra cui quelle legate a problemi cardiovascolari e il diabete di tipo 2.

Passo importante per studi sul Dna delle masse

“É una tappa importante per le ricerche sul Dna delle masse", commenta Carlo Alberto Redi, a capo del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell'Università di Pavia. "Mano, a mano, questo campo di ricerca ci porterà ad avere una genomica personalizzata che consentirà di capire la predisposizione verso una determinata malattia". Sperimentato su dati riguardanti il Dna di più di 400 mila persone del Regno Unito, il test è stato effettuato in due momenti distinti. In primis sono state riconosciute le varianti genetiche legate a malattie cardiovascolari, fibrillazione atriale, diabete di tipo 2, malattia infiammatoria intestinale e cancro al seno. In seguito, si è usato un algoritmo che rintraccia le varianti nel Dna e indica chi ha un’alta propensione a contrarre queste patologie.

Criterio applicabile ad altre popolazioni

"È un metodo di alta qualità – spiega il genetista Giuseppe Novelli, dell’Università di Roma Tor Vergata –, perché si è agito su una vasta casistica di individui e con gli algoritmi è stato possibile analizzare una grande quantità di marcatori e fattori di rischio". Procedendo con questo criterio è possibile “ripartire porzioni di popolazione in base alle eventualità di contrarre una malattia e focalizzarsi su chi rischia di più", aggiunge Novelli. Per Novelli, però, ci sono ancora alcuni limiti nell'applicazione di questa metodologia di azione: ogni popolazione è differente, di conseguenza le variabili vanno controllate da popolazione a popolazione.
“Sarebbe necessario anche un esame delle variazioni nel corso del tempo, per avvalorare l'efficacia dei calcoli di rischio", aggiunge il genetista. A conferma di questi dubbi i ricercatori spiegano che, per usare la tecnica da un punto di vista clinico, servono ulteriori studi sui dati di altre popolazioni. 

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