Cos'è il colera e dove è ancora diffuso nel mondo

Salute e Benessere
Foto d'archivio Getty
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Si tratta di un'infezione che colpisce l'intestino provocando diarrea, vomito e una rapida disidratazione che può essere letale. Secondo l'Oms è ancora presente in almeno 47 Paesi e provoca circa 95mila morti ogni anno a causa delle scarse condizioni igieniche

Il colera è un’infezione acuta trasmessa dal batterio Vibrio cholerae che colpisce l’intestino provocando diarrea e vomito e che causa una rapida disidratazione. Come informa il sito dell’Istituto superiore di sanità, la sua trasmissione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati e nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione, fino a stati di shock e anche alla morte. Oggi la malattia non è ancora stata debellata del tutto ed è ancora diffusa in almeno 47 Paesi, dove causa, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, circa 95mila morti ogni anno. Il colera è endemico in diversi Paesi in via di sviluppo, soprattutto nel Sud-est asiatico e in Africa, fino all’America centrale (Haiti).

Come si trasmette

Le riserve dei batteri che trasmettono il colera, spiega l'Iss, sono l’uomo e le acque, soprattutto quelle salmastre presenti negli estuari, che sono spesso ricchi di alghe e plancton. Il colera è una malattia a trasmissione oro-fecale, quindi la sua diffusione è strettamente legata alle condizioni economiche e igieniche di una popolazione: può essere contratto attraverso l'ingestione di acqua o alimenti contaminati da materiale fecale di individui infetti (malati o portatori sani o convalescenti). I cibi più a rischio sono quelli crudi o poco cotti e, in particolare, i frutti di mare, ma comunque anche altri alimenti possono veicolare la malattia.  

Quali sono i sintomi

Il sintomo prevalente è la diarrea. In alcuni soggetti la continua perdita di liquidi può portare alla disidratazione e allo shock, che nei casi più gravi può essere fatale. La febbre non è un sintomo prevalente della malattia, mentre possono manifestarsi vomito e crampi alle gambe. Il periodo d’incubazione della malattia è compreso solitamente tra i 2 e i 3 giorni, ma in casi eccezionali può oscillare tra le 2 ore e i 5 giorni, in funzione del numero di batteri ingeriti.

Come si cura

Nel trattare il colera la priorità deve andare alla reintegrazione dei liquidi e dei sali persi con la diarrea e il vomito. La reidratazione per via orale, spiega il ministero della Salute, ha successo nel 90% dei casi attraverso l’assunzione di soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua, e deve essere intrapresa immediatamente. I casi più gravi necessitano, invece, di un ripristino dei liquidi intravenoso che richiede grandi volumi, fino a 4-6 litri. Con un’adeguata reidratazione solo l’1% dei pazienti muore e, di solito, in seguito al ripristino dei fluidi, la malattia si risolve autonomamente. Anche gli antibiotici, inoltre, possono abbreviare il decorso della malattia.

Le cause della diffusione e la prevenzione

Tra le principali cause di epidemie di colera ci sono le scarse condizioni igienico-sanitarie e la cattiva gestione dell’acqua potabile e delle fogne. Il batterio può vivere anche in ambienti naturali, come i fiumi salmastri e le zone costiere: perciò il rischio di contrarre l’infezione attraverso l’ingestione di molluschi è elevato. Per questo l’approccio seguito nella lotta al colera riguarda sia la gestione della sanità pubblica e dell’acqua, che la pesca, l’agricoltura e l’educazione alla salute. Tra gli interventi più importanti per prevenire le epidemie di colera ci sono la depurazione dell’acqua e il funzionamento del sistema fognario. In assenza di una contaminazione dell’acqua, il contagio diretto da persona a persona è molto raro in condizioni igienico-sanitarie normali ed è molto difficile che avvenga attraverso il semplice contatto. Contro il colera esistono anche dei vaccini, ma l’Organizzazione mondiale della sanità sottolinea che le principali misure per prevenirne la diffusione restano il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e che in ogni caso l’utilizzo dei vaccini deve essere accompagnato da queste strategie di prevenzione.

Ancora in corso la settima pandemia

Nel 19esimo secolo il colera si è diffuso più volte dalla sua area originaria, situata attorno al delta del Gange, verso il resto del mondo dando origine a sei pandemie che hanno ucciso milioni di persone. La settima pandemia è ancora in corso: è iniziata nel 1961 in Asia meridionale, poi ha raggiunto l’Africa nel 1971 e l’America nel 1991. Oggi la malattia è considerata endemica in molti Paesi, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, e il batterio che la provoca non è ancora stato eliminato dall’ambiente.

Diffuso ancora in 47 Paesi, 95mila morti ogni anno

Secondo i numeri forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità, che di recente ha pubblicato la propria strategia per ridurre le morti da colera del 90% entro il 2030, sono 47 i Paesi in cui la malattia è ancora diffusa, per un totale, ogni anno nel mondo, di 2,9 milioni di casi che causano circa 95mila morti (si oscilla tra 21mila e 140mila a secondo dell'anno). Tra i Paesi in cui il colera è endemico ci sono soprattutto quelli dell’Africa subsahariana, del Sud-Est asiatico e alcuni del Centro America. Focolai sono presenti nello Yemen, martoriato dalla guerra civile, con 600mila casi sospetti e oltre 2.000 morti, e ad Haiti, dove, in meno di 7 anni, ha contagiato 1 milione di persone e causato 100mila vittime. L’Oms definisce la malattia, per le sue caratteristiche, una spia della disuguaglianza presente nel mondo contemporaneo. Per questo per l’organizzazione, che sottolinea la correlazione tra basso reddito, accesso ad acque pulite e diffusione della malattia, controllarla è sia una questione di risposta alle emergenze che di sviluppo delle aree in cui il colera è ancora endemico.

In Italia è scomparso

In Italia oggi il colera si considera scomparso. L’ultima epidemia importante risale al 1973 in Campania e Puglia. Nel 1994 si è verificata a Bari un’epidemia di limitate proporzioni, in cui sono stati segnalati meno di dieci casi. Da allora, l’unico episodio descritto risale all’agosto del 2008 dove a Milano un uomo, di rientro dall’Egitto, è morto di colera in ospedale. Gli accertamenti dimostrarono che l’uomo aveva contratto la malattia all’estero ed esclusero il rischio di epidemie per il nostro Paese.

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