“Il DCA era un mostro, scoperto quando lei aveva 11 anni”, la storia di Alessia

“Non chiedetemi chi sono perché la risposta l’ho persa insieme ai sogni nel cassetto che devo riordinare da ormai una settimana” scriveva Alessia in una delle sue tante poesie. Il suo universo di sedicenne dagli occhioni azzurri e i capelli biondi è tutto racchiuso in una stanza, al primo piano di un piccolo appartamento del comune di Fabriano, nelle Marche. Qui il tempo si è fermato il 7 luglio del 2021: c’è il letto rifatto prima di uscire, i disegni che amava realizzare, tra personaggi di cartoni animati e volti dallo sguardo spento; ci sono i libri che avrebbe voluto leggere: Narnia, il Diario di Anna Frank, la Coscienza di Zeno; peluche a forma di rana e lettere d’amore. Da quel giorno d’estate, ogni sera, sua madre Loredana entra per una buonanotte, accende una candela e si assicura che niente venga portato via dal passare dei giorni. “Era una bambina allegra, solare, voleva sempre mettere la pace fra tutti” racconta. C’erano però anche momenti in cui “non era più lei, era il mostro, il disturbo alimentare. Una volta dalla rabbia buttò giù la porta della sua camera, come può una ragazzina avere una tale forza?” Alessia si ammala di anoressia a 11 anni, appena conclusa la quinta elementare. “Mi sono accorta che c’era qualcosa che non andava perché ogni 15 giorni dovevo monitorarla per via di possibili problemi alla schiena per una scoliosi ereditaria. Notai che stava iniziando a perdere peso molto velocemente” ricorda la madre. “Ricordo di quel periodo l’Epifania, quando i nonni le regalarono la calza. Mi disse ‘Mamma, guarda quante cose ci sono dentro’. All’interno vidi le merendine che in realtà si portava a scuola. Decisi di controllare la sua cameretta. Nell’armadio trovai cibo nascosto ovunque”. I ricoveri, la bilancia in tasca, il 7 luglio “Alessia è stata subito seguita da una equipe medica dell’Ospedale Salesi di Ancona ma ad aprile 2018 ci fu un crollo grande e venne ricoverata per un mese intero” ricorda Loredana. Inizia così un lungo periodo di riprese e ricadute in cui Alessia entra ed esce dall’ospedale, prima per le cure settimanali, poi per un secondo ricovero. Quando aveva solo 12 anni, trascorre anche alcuni mesi presso il centro per disturbi dell’alimentazione e della nutrizione Palazzo Francisci, a Todi, in provincia di Perugia. “Era la più piccola lì dentro ma tutte le volevano bene, dicevano che portava una grande armonia. Nel giorno di pasto libero la portavo a mangiare fuori. Con me avevo sempre una piccola bilancia per farla stare tranquilla sul rispetto delle dosi del piano alimentare”. Nel novembre 2019, Loredana riesce a far ammettere Alessia a Villa Miralago, centro per DCA in provincia di Varese. “Siamo tornate a Fabriano per fare i documenti ma arrivò il Covid”. Il lockdown fa chiudere Alessia ancora più in se stessa. “In quel periodo ha attraversato una fase di bulimia e poi è arrivata la fame nervosa. Mangiava e si chiudeva in camera, passava le giornate nel letto. Allo specchio non si riconosceva più”. La situazione si aggrava anche per il rallentamento delle cure. “L’equipe di Ancora non ci ha più potuto seguire e da giugno 2020 Alessia è stata presa in cura dall’equipe di un altro ospedale ma solo una volta al mese. Mi venne detto che purtroppo avendo tanti pazienti per DCA, non riuscivano a gestire tutto. Da genitore sentivo di star combattendo una battaglia contro i mulini a vento” Arrivano poi gli episodi di autolesionismo. “Da settembre 2020 ha provato a togliersi la vita più di una volta. Non essendo più seguita come prima, la situazione peggiorava”. Fino al 7 luglio 2021. “Il giorno della sua morte ha scritto un messaggio ai suoi amici in cui si scusava, si sentiva debole. Quando me lo hanno inoltrato ho capito, sono corsa alla stazione, era appena successo. Io e il mio compagno abbiamo visto tutto, urlavo, ero fuori di me. Quelle immagini non ce le toglieremo mai più dalla mente”. “I ragazzi oggi vogliono essere visti” Da quel giorno sono passati più di quattro anni, un cartello alla stazione di Fabriano offre a chiunque passi l’occasione per un saluto o una riflessione, una panchina lilla nel parco della città riporta il numero verde per i DCA: 800.180.969. “Da poco tempo non dormo più nel suo letto, l’ho lasciato così come lo aveva fatto prima di andare via. Il senso della morte di Alessia lo sto portando avanti cercando di aiutare i ragazzi. Ogni anno, nella settimana del suo compleanno, organizzo un convegno sui DCA coinvolgendo le scuole medie e superiori in cui parlano i medici e io cerco di mandare un messaggio positivo: ai ragazzi dico di volersi bene, ai genitori di stare con i propri figli. I ragazzi di oggi chiedono di essere visti. Se anche sembrano adolescenti scostanti, insistete: una cena fuori, una passeggiata, una sera al cinema, la prima volta potranno dire di no, la seconda di no, ma la terza si potrebbero accorgere che il genitore li sta notando. L’orologio va sempre avanti, non torna indietro, tornassi indietro io riprenderei mia figlia”. Perché di disturbi alimentari si può morire Nel 2022, secondo i dati Rencam , sono stati 3158 i decessi con diagnosi correlate ai Disturbi dell’Alimentazione e della nutrizione con un'età media di 35 anni, a significare che una alta percentuale di questo numero ha una età inferiore a 25 anni. Stime più recenti parlano di “oltre 4.000 decessi all’anno tra i giovani”. “I DCA possono portare alla morte per cause organiche, per esempio le forme con perdita importante di peso come i disturbi anoressici in cui il tasso di mortalità è stimato al 5%. Oppure possono esserci alterazioni elettrolitiche: nei casi di bulimia, il vomito ripetuto porta a una perdita di elettroliti, che sono vitali per le funzioni cardiache” afferma Barbara Cozzani, responsabile della UOSD DCA della ASL Roma 1, che si occupa di disturbi alimentari. Ma i DCA non riguardano solo il corpo. “Tra le complicanze c’è una chiusura sociale sempre più importante che, in alcuni casi, diventa anche una depressione clinica. Si possono associare disturbi depressivi, disturbi ansiosi, disturbi ossessivo compulsivi gravi, spesso anche disturbi di personalità, che possono condurre a volte a gesti anticonservativi”. Nel caso di un disturbo alimentare, entrare il prima possibile in un percorso di cura può fare la differenza, non solo tra la vita e la morte, ma anche tra la guarigione e la cronicizzazione della malattia. “I tempi di attesa incidono moltissimo” sostiene la dottoressa Cozzani. "Il rischio della cronicizzazione è molto grave e può portare a tenersi il disturbo per tutta la vita, quindi, a vivere una vita a metà. Più è precoce l’intervento, più è facile che ci sia una remissione completa con guarigione, soprattutto quando i pazienti sono molto giovani. Se oggi vogliamo abbattere i tempi di attesa per accedere alle cure, serve che i centri per DCA non siano solo contenitori vuoti ma siano muniti di tutte le figure professionali necessarie e formate per gestire queste patologie nelle diverse età dei pazienti”. I campanelli di allarme e a chi rivolgersi: l’aiuto degli adulti Negli ultimi anni, l’età di insorgenza dei sintomi si è abbassata. Studi epidemiologici internazionali - si legge sul sito del ministero della salute - hanno rilevato un aumento dell’incidenza nelle ragazze, tra i 12 e 25 anni. L'Unità operativa semplice di Anoressia e disturbi alimentari del Bambino Gesù ha registrato un incremento dei nuovi accessi tra le fasce d'età più giovani che sono passati dai 59 del 2019 agli 89 del 2024 . C’è anche un’altra tendenza rilevata anche dalla dottoressa Cozzani: “Aumentano gli aspetti di disregolazione emotiva, colpisce un po’ tutte le patologie. Non vediamo più solo un disturbo alimentare ma vediamo un insieme di sintomi che rendono sempre più complesso il trattamento. Spesso si assiste anche a un cambiamento familiare per cui di fatto, il fatto che ci siano tante trasformazioni rispetto alla composizione tradizionale della famiglia, fa sì che i genitori siano un po’ diversi rispetto al passato e questo incide - nel bene e nel male, non c’è nessun giudizio - sull’andamento della patologia”. In questo quadro, il supporto degli adulti è fondamentale. Sottrarsi spesso ai pasti in famiglia, l’abitudine a eliminare gradualmente alcuni alimenti, l’eventuale comparsa di segnali fisici, come l’avere costantemente freddo e il bisogno di coprirsi più del solito, l’amenorrea, andare in bagno subito dopo i pasti e trattenersi a lungo potrebbero essere dei campanelli di allarme. “Anche il ritiro sociale potrebbe aggiungersi ai segnali: una persona un tempo socievole e vitale potrebbe iniziare a evitare le uscite, sia per sfuggire alle occasioni legate al cibo, la malattia spinge progressivamente a chiudersi” sottolinea Cozzani. In questi casi è fondamentale chiedere aiuto rivolgendosi prima alle agenzie sanitarie più vicine come il medico di famiglia o agli sportelli psicologici delle scuole, per poi essere indirizzati a specialisti. “È molto importante non utilizzare cure fai da te o pensare che sia solo un problema di volontà o un capriccio passeggero” conclude Cozzani.

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Federica De Lillis