Fine anno scolastico, Stefano Rossi: "Affrontare paure e ansie con l'educazione emotiva"

Tra interrogazioni, esami e saggi si avvicina la fine dell’anno scolastico. Il mese di maggio è spesso stressante per le famiglie perché si fanno i conti con uno sprint finale impegnativo in vista delle valutazioni finali. Inizia anche il conto alla rovescia per gli esami di maturità, mentre alcuni studenti sono impegnati nei test per accedere alle università. E c’è chi soffre di quella che viene definita dagli esperti “sindrome da fine anno scolastico” con stanchezza, insonnia, inappetenza e difficoltà a concentrarsi. Abbiamo chiesto a Stefano Rossi, psicopedagogista, conferenziere e voce autorevole nel panorama educativo italiano, come affrontare questo periodo, come gestire stress e ansia. Una guida per studenti ma anche, e soprattutto, per i genitori. “Maggio è da sempre un mese stressante non solo per i ragazzi più grandi ma anche per i bambini più piccoli. Ma è fondamentale evitare il rischio diffuso tra i genitori contemporanei che ha un nome ben preciso: algofobia. È la paura che i nostri figli soffrano. Mi spiego meglio. Da oltre 20 anni propongo un modello di scuola cooperativo, fondato sulla collaborazione, in cui bambini e ragazzi devono imparare ad aiutarsi tra loro e a pensare insieme. Oggi il tema della valutazione di fine anno scatena nei bambini e nei ragazzi, ma sempre di più anche nei genitori, quella che chiamiamo la paura del negativo. Un concetto molto importante da capire. I filosofi ci insegnano, che il negativo è lo spigolo duro della vita. E Byung-chul Han, filosofo sudcoreano che vive in Germania, precisa che la realtà ha sempre una componente di urto, di negatività e di dolore. Allora io credo che il primo consiglio importante è per i genitori: non devono confondere il dolore con il trauma. Credo che oggi uno degli errori più comuni, che spesso viene fatto in buona fede da tanti genitori è confondere queste due dimensioni. Perché una quantità di negativo, di dolore inteso come stress, fa parte della vita. E l’educazione emotiva ci insegna che non dobbiamo scansare e proteggere i nostri figli da ogni forma di negatività ma dobbiamo dare loro gli strumenti per imparare ad affrontarla. Da questo punto di vista quindi sia la fine dell’anno scolastico, sia le ultime partite dei campionati, sia il saggio di fine anno, portano una quantità effettiva di stress. Ma dobbiamo imparare a distinguere lo stress buono da quello cattivo. Perché imparare a gestire emotivamente queste dimensioni più sfidanti della vita è uno dei compiti educativi su cui dobbiamo lavorare con i nostri bambini, ragazzi e genitori.” Cosa possono fare in concreto i genitori per aiutare i figli? I genitori devono partire dalla validazione emotiva. Questo significa che madri e padri devono accogliere e legittimare, mai minimizzare, le emozioni dei figli. Ansia, paura, stress sono emozioni che possono abitare il cuore dei bambini anche più piccoli, ma soprattutto dei ragazzi. Queste emozioni vanno validate. Se vediamo un figlio agitato, stressato o preoccupato dobbiamo dirgli che è assolutamente normale che lo sia. Nel caso in cui la sua situazione scolastica sia in bilico, bisogna validare la consapevolezza che si sta giocando qualcosa di importante. L’errore da non fare è la minimizzazione emotiva. Dire che ci siamo passati tutti non va bene. Così come non va bene il catastrofismo. L’ansia degli adulti incendia l’ansia di bambini e ragazzi. Quindi così come non va minimizzata la situazione, non va neanche detto loro che, se le cose non dovessero andare bene, sarebbe la fine del mondo. Non va detto che se sarà bocciato sarà una catastrofe. Bisogna stare attenti a come ci si rivolge ai figli. È preferibile dire: “Ti vedo stressato ed è normale perché questo è un mese in cui ti giochi un passaggio importante”. Il secondo consiglio riguarda la responsabilizzazione. Un altro grande filosofo Hans Jonas, nel suo capolavoro “Principio e responsabilità”, spiegava come la logica della paura alimenta il principio di responsabilità. Questo significa che bisogna stimolare i nostri ragazzi a trasformare la paura in azione. Ci sono due tipi di paure: amica e nemica. Quest’ultima ci paralizza, diventa angoscia e panico e finisce per congelare le nostre ali, gettandoci in un senso di impotenza. La paura amica invece è l’embrione del senso di responsabilità. Quindi il messaggio che bisogna dare ad un figlio preoccupato è: se sei in bilico agisci, impegnati di più e sii responsabile del tuo destino. Questi sono i primi due consigli da dare ai genitori. Quali sono le parole da usare? Una situazione da stress dovuta alla fine dell’anno scolastico diventa preziosa per insegnare ai nostri ragazzi uno dei significati, affettivi e esistenziali, dell’ansia da prestazione. Quando arriviamo agli sgoccioli di qualsiasi prestazione, anche lavorativa, si accendono una serie di spie emotive. È importante spiegare che queste spie e questa tensione non sono assolutamente patologiche ma sono situazionali. L’ansia è una energia che, quando rimane positiva, tende il nostro corpo e la nostra mente. Ci dice che ci stiamo giocando qualcosa di importante e così ci aiuta a scoccare al meglio la freccia, ci aiuta a concentrarci e a recuperare tutte le energie fisiche e mentali che abbiamo a disposizione per fare del nostro meglio. Capita però che questa situazione diventa disfunzionale per altri ragazzi. Succede quando non hanno alcuna forma di stress, anche se si stanno giocando qualcosa di importante, in questo caso il loro arco non si tende, perché sono disinteressati e non danno valore questa esperienza, sono come degli sportivi che prendono sottogamba l’ultima partita di campionato. Al contrario a quei ragazzi, il cui arco si tende in modo eccessivo, rischia di spezzarsi. Questo avviene perché spesso ci sono dei pensieri catastrofisti, pessimistici. È importante spiegare ai ragazzi che i nostri pensieri hanno la capacità di accendere e di spegnere le nostre emozioni. Quindi un ragazzo che a fine anno scolastico si sente divorato dall’ansia, in maniera angosciante e paralizzante, spesso non si rende conto di essere vittima del suo stesso pensiero. Nel pensiero catastrofico c’è un pizzico di verità, ma il catastrofismo ingigantisce il buio. Allora bisogna insegnare agli adolescenti che non sono i loro pensieri, li devono riconoscere e li devono addolcire, ma i pensieri negativi non porteranno a nulla di buono. Bisogna imparare a guardare questi pensieri negativi come palloncini che si liberano nel cielo, senza volerli combattere ma lasciandoli volare via e poi mettersi nell’azione, impegnandosi. Come affrontare una eventuale bocciatura? Dobbiamo passare dalla logica della colpa a quella della responsabilità. La logica della colpa funziona secondo una comunicazione accusatoria in senso distruttivo. Il genitore potrebbe farsi travolgere dalle emozioni e andare in una disregolazione emotiva, in base alla vergogna e alla delusione, del dispiacere e della rabbia per la caduta scolastica del figlio, potrebbe arrivare a mortificarlo aggredendo il suo sé. Potrebbe dirgli cose terribili, che diventano coltellate dell’anima. Per quando noi possiamo comprendere la delusione e il dolore di un genitore, il genitore deve restare un educatore. Se una squadra fallisce una partita, umiliarla e mortificarla, non l’aiuterà a fare meglio nella prova successiva. Quello che dobbiamo fare invece è responsabilizzare. Significa che un genitore deve esprimere il suo dispiacere se il figlio, durante tutto l’anno scolastico, ha avuto tutti gli strumenti e la tranquillità per potere fare meglio. I figli vanno responsabilizzati anche esprimendo il nostro disappunto sul comportamento e sull’approccio che hanno avuto, ma non sul risultato. L’errore che si commette sempre più spesso è quello di essere focalizzati sul risultato, sui voti, sul rendimento. Ma se un figlio ha dato tutto sé stesso e non ce l’ha fatta, non possiamo che accettare la sconfitta e riconoscerne i limiti. Bisogna focalizzarsi sull’impegno. I risultati vanno estrapolati dal contesto. Immaginiamo un ragazzo che viene bocciato perché ha affrontato durante l’anno delle grandi fatiche emotive, psicologiche esterne al mondo scolastico, come una separazione, un lutto o un trasferimento, in questi casi focalizzarsi sui voti è miope, non li aiuta. Dobbiamo trasformare la cultura del risultato, in cultura della grinta. Ti sei impegnato? E se non lo hai fatto, cosa avresti potuto fare di diverso? C’è una frase che dice che l’unico vero errore è quello da cui non impari nulla. Con questo approccio il fallimento scolastico diventa una occasione di crescita. I genitori devono tenere presente che i risultati scolastici non dicono nulla della vita dei nostri figli. Ci sono figli che vanno bene a scuola, ma mortificano i compagni, che hanno un atteggiamento violento verso gli altri, e non provano empatia, che pensano esclusivamente a sé stessi. Un genitore deve dare un giusto peso alle performance scolastiche, ma deve tenere presente che nella sua formazione sono fondamentali empatia, gentilezza, capacità di stare con gli altri. Oggi il mondo è pieno di persone che culturalmente sono brillanti, ma sono bulli dell’anima, schiacciasassi che calpestano le emozioni altrui. Bisogna avere uno sguardo più ampio e affrontare una eventuale caduta scolastica con un altro occhio, che non significa giustificare l’ingiustificabile disimpegno dei figli ma mettere nella equazione che la scuola è importante ma è ancora più importante la formazione dell’essere umano. Negli ultimi anni, assistiamo alla fuga da scuole più complesse in favore di scuole meno performanti. Eppure, ai ragazzi si chiede di essere sempre più competitivi. Come lo spiega? Bisogna considerare che ci sono, nel nostro Paese, delle scuole che sono emotivamente tossiche. Così come esistono amori tossici e relazioni disfunzionali, ci sono scuole che hanno una cultura tossica. Esistono scuole ossessionate dai risultati, che mortificano i ragazzi che vengono considerati esclusivamente degli oggetti di prestazioni. In questi casi molti studenti anche brillanti ottengono ottimi risultati ma a costo di un’ansia generalizzata, un’ansia che corrode, fino ad avere forme di autolesionismo. Alcuni contesti scolastici disfunzionali favoriscono l’autolesionismo. Sono scuole ossessivamente richiedenti, prive di relazioni affettive significative tra professori e alunni. Anche un figlio che prende il massimo dei voti, in un contesto scolastico iper-prestazionale, potrebbe conquistare questi voti con un grande costo emotivo. Questi sono elementi da valutare come genitori, perché la scuola non è una gara. L’apprendimento è un viaggio che deve aiutare i nostri ragazzi a scoprire le gemme più preziose della nostra cultura ma anche a esplorare dei territori interni sani e proficui e preziosi della propria anima. Una scuola emotivamente intelligente è una scuola che sa bilanciare e integrare la nobilità della cultura fuori dall’ossessione per i risultati che è una delle peggiori malattie del nostro tempo. Fa ammalare la nostra anima e il nostro corpo e le nostre relazioni. Cosa consiglia a chi sta per affrontare gli esami di maturità? La maturità è una soglia, è un rito di passaggio, in una società che ha perso i riti. Per questo scatena grandi emozioni e grandi paure ma anche grandi sogni e preoccupazioni. I ragazzi devono orientarsi sul fare e smettere di pensare troppo. I ragazzi non si devono creare troppi scenari mentali che alimentano l’ansia che diventa paralizzanti. Ai ragazzi stressati per l’esame, dico di riconoscere questa emozione come legittima e di dedicarsi allo studio e all’impegno. Quando decidete di impegnarvi, dico ai ragazzi, spegnete il cellulare e mettetelo lontano dallo spazio visivo per evitare che vi rubi riserve cognitive. Quindi pensate, meno, dedicatevi al fare senza interferenze digitali.

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