Giornata nazionale dei Disturbi Alimentari, quando il dolore dei bambini passa per il cibo

S. è una bambina empatica e creativa, ama i manga e la pallavolo. A scuola le piace la Storia. Ma alla fine del 2020, dopo il primo duro lockdown e ancora in piena pandemia, qualcosa in lei si rompe. Ha 11 anni e non vuole più mangiare. I genitori pensano a delle intolleranze, a un malessere fisico, ma quando la portano dal pediatra la diagnosi è devastante: "Anoressia nervosa". S. è denutrita e la dottoressa consiglia il ricovero in ospedale. "Quando abbiamo portato nostra figlia dal medico eravamo spaventati ma totalmente impreparati", dice a Sky Tg24 il papà Lorenzo Sanna, che con la moglie Anna Benvenuti ha raccontato la storia di S. nel libro “Corpo a perdere. Nostra figlia e l’anoressia” edito da Piemme. Oggi ricorda le prime spie del malessere della bambina: "Tutto è cominciato col rifiuto di certi cibi, di certe porzioni, poi sono emersi altri segnali come il nascondere il corpo sempre un po' di più sotto i vestiti, ma anche una continua e ossessiva attenzione all’orologio, una necessità di controllo costante nel rapporto col cibo così come nella gestione del tempo". Sospendere tutto per sopravvivere Dopo lo shock della diagnosi e un primo tentativo di risolvere il problema con la psicoterapia che non dà frutti, mentre le condizioni della bambina si aggravano, i genitori di S. si rivolgono al centro specializzato in disturbi del comportamento alimentare dell’ospedale San Paolo di Milano. "L’amore della famiglia nel percorso di cura è fondamentale ma non basta - dice oggi il papà di S. - per la nostra esperienza è indispensabile affrontare il problema a 360 gradi, preoccupandosi di curare sia il fisico che la testa". S. entra dunque in un percorso di cura fatto di controlli settimanali del peso, integratori salva-vita, pasti in casa sottoposti a rigide regole, orari, che devono cercare di liberare la bambina dall’ossessione del controllo del cibo. La vita e il percorso di cura diventano un tutt’uno, la bambina non ha energia per occuparsi di altro, la scuola e i contatti sociali vengono sospesi. Nella fase più critica, al rifiuto del cibo si aggiungerà il rifiuto di sedersi: S. passa intere giornate in piedi, senza fare nulla, in una sorta di “solitudine controllata”, dice il papà. L’unica cosa che vorrebbe fare, ma che le è vietata, è cucinare per la sua famiglia piatti che naturalmente non assaggia neanche, in un’altra strana forma di controllo del cibo. All'improvviso un raggio di luce Quando la situazione diventa sempre più drammatica e insostenibile, un giorno S. si siede a tavola con la sua famiglia e mangia un risotto. Proprio quando la famiglia si sentiva senza una via d’uscita la bambina ricomincia a mangiare."Da un giorno all’altro - dice il papà - è arrivato un raggio di luce. Sbloccato un piccolo ingranaggio poi se ne sono sbloccati altri e da lì nostra figlia è guarita, fortunatamente senza avere più ricadute". "Ancora oggi - prosegue - non abbiamo capito cosa sia successo a nostra figlia, le cause profonde del suo malessere, ma la nostra vicinanza ha contato più di tutto. Dall’ospedale ci hanno detto che la squadra che vince è la famiglia, è lei che, sopra a tutti, deve farsi carico del malessere, con il supporto indispensabile degli specialisti". Aumentano i Dca nei bambini La storia di S. non è purtroppo un caso isolato: i Disturbi del comportamento alimentare nei bambini, negli ultimi anni, sono in costante crescita. Dal 2019, i Dca diagnosticati all'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma sono aumentanti del 64% e l’età di esordio si è abbassata fino a 8/9 anni. Per la dottoressa Valeria Zanna, responsabile dell’unità Operativa Semplice Anoressia e Disturbi Alimentari del Bambino Gesù, le cause sono da ricercare, in particolare per le bambine, nel fenomeno della pubertà sempre più precoce, per cui "si trovano in un corpo di forme adulte ma emotivamente sono ancora immature" e "nell’uso massiccio dei social che inizia molto presto, con la continua esposizione a modelli di bellezza irraggiungibili, che portano a un senso di inadeguatezza". Ma pesano anche gli strascichi della pandemia, che ha rappresentato una "frattura per bambini e ragazzi, i quali in momenti delicati come il passaggio dalle elementari alle medie o dalle medie alle superiori si sono trovati in isolamento". Dca punta dell'Iceberg di un malessere più profondo Il disturbo del comportamento alimentare, chiarisce la dottoressa Zanna a Sky Tg24, è solo "la punta dell’iceberg", "all'origine vi è una sofferenza più profonda, un senso di alienazione, personale e interpersonale. Per via di una forte insicurezza si comincia a stare male con sé stessi e con gli altri". "A volte -prosegue - la sofferenza risiede nella situazione familiare, come la separazione dei genitori, un lutto, o anche l’interruzione di un’amicizia intensa. In ogni caso, dietro il Dca c’è sempre una fragilità che cerca nel controllo del corpo e del cibo una strada per risolvere il disagio". L’approccio terapeutico dev’essere sia piscologico che nutrizionale, ma, spiega la dott. Zanna, "più i pazienti sono piccoli più è difficile la narrazione di sé stessi, quindi il problema va affrontato anche in famiglia: tutta la famiglia va in terapia, i bambini non devono pensare che sono loro sbagliati e i genitori diventano parte del trattamento e anche una grande risorsa nel percorso di cura". "Il disturbo alimentare nella fase evolutiva - conclude - ha molto spesso un significato relazionale e quindi c’è la necessità di ristabilire una comunicazione più sana all’interno del contesto familiare”.

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