Tumore polmone, studio: mutazione gene alla base della resistenza all'immunoterapia

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L’immunoterapia con anticorpi monoclonali è meno efficace nei soggetti con più evidente mutazione del gene KEAP1. È quanto emerso da un nuovo studio internazionale

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L’immunoterapia con anticorpi monoclonali, risorsa fondamentale nel trattamento terapeutico dei pazienti con tumore al polmone, è meno efficace nei soggetti con più evidente mutazione del gene KEAP1. È quanto emerso da un nuovo studio, frutto di una collaborazione internazionale tra il gruppo dell'IRCCS Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE), guidato da Marcello Maugeri-Saccà, i ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute/Harvard Medical School di Boston, e del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell'Università di Trieste, che ha indagato i meccanismi alla base della "resistenza farmacologica" all'immunoterapia con anticorpi monoclonali.
I risultati, pubblicati sulle pagine della rivista specializzata Annals of Oncology, rivista ufficiale dell'European Society for Medical Oncology, aprono la strada a nuovi metodi per migliorare ulteriormente la qualità di vita e la sopravvivenza dei pazienti.

Lo studio nel dettaglio

Come spiegato in una nota, nel corso dello studio, i ricercatori hanno analizzato le caratteristiche genomiche dei tumori del polmone, e in particolare dei adenocarcinomi. Circa il 20% di queste neoplasie possiede una mutazione del gene KEAP1 legato ad una minore efficacia dei trattamenti immunoterapici. "Lo studio rivela che, correlando due parametri che ci dicono "quanto" è presente tale mutazione nelle cellule tumorali, è possibile identificare l'efficacia del trattamento", hanno riferito gli autori. Nello specifico, è emerso che i malati con un profilo meno evidente della mutazione, sono sensibili alla terapia. Al contrario, i pazienti con elevato profilo mutazionale sono resistenti. Questi risultati sono stati verificati su un campione composto da circa 700 pazienti con adenocarcinoma polmonare, trattati con immunoterapia. "Siamo partiti proprio da un'attenta analisi dei dati genomici, frutto dell'applicazione nella pratica clinica della next-generation-sequencing (NGS) su tessuto neoplastico che ci permette di conoscere nel dettaglio non solo la presenza o meno di una mutazione nel tumore, ma anche "quanto" è presente. Focalizzandoci su KEAP1, con questo studio dimostriamo che i pazienti con mutazioni cosiddette clonali di KEAP1 hanno uno scarso beneficio dell'immunoterapia", ha spiegato Maugeri-Saccà. "I risultati dello studio, attraverso l'uso di parametri disponibili anche in pratica clinica grazie ad un'adeguata caratterizzazione genomica della neoplasia, possono, se ulteriormente confermati, consentire in futuro di selezionare sin dalla diagnosi i pazienti che avranno beneficio dal trattamento immunoterapico", ha concluso Gennaro Ciliberto, Direttore scientifico IRE.

 

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