Mini cervelli in provetta per studiare i neuroni: la nuova frontiera della ricerca

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Se ne è discusso in occasione della conferenza internazionale "Building the brain", promossa dall'Istituto europeo per le ricerche sul cervello (Ebri) e dall'Accademia nazionale dei Lincei

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La nuova frontiera delle neuroscienze è rappresentata dall'utilizzo di mini cervelli umani coltivati in provetta per studiare la formazione e l'evoluzione delle connessioni nervose. È quanto emerso dalla conferenza internazionale "Building the brain", promossa dall'Istituto europeo per le ricerche sul cervello (Ebri) e dall'Accademia nazionale dei Lincei, dedicata alla celebre scienziata premio Nobel Rita Levi Montalcini, a dieci anni dalla sua scomparsa.

Le sfide del futuro

Comprendere come si "costruisce" il cervello durante lo sviluppo embrionale e come si modella durante le successive fasi della vita "è una sfida estremamente avvincente, con implicazioni non solo conoscitive ma anche applicative, per le malattie del neurosviluppo e dell'invecchiamento", ha sottolineato Antonino Cattaneo, presidente di Ebri e Lincei. "Per questo genere di studi finora sono stati usati per lo più modelli animali, ma oggi abbiamo a disposizione uno strumento innovativo: è quello degli organoidi, che vengono sviluppati a partire da cellule adulte (ad esempio della pelle) riprogrammate per diventare staminali e poi differenziarsi in neuroni", ha aggiunto.

Possibile aiuto nella lotta alle malattie neurodegenerative

Come spiegato dagli esperti, queste cellule, assemblate in vitro per simulare l'organizzazione e il funzionamento di specifiche aree cerebrali, consentono di analizzare nel dettaglio i meccanismi fisiologici e le alterazioni che portano allo sviluppo delle malattie del neurosviluppo. "Comprendere questi meccanismi, e in particolare quelli che portano alla formazione di nuove connessioni nervose, è utile anche per la lotta alle malattie neurodegenerative legate all'invecchiamento", ha aggiunto Cattaneo. "Come ricordava sempre Rita Levi Montalcini, è solo con la ricerca di base che possiamo spostare più avanti la frontiera della conoscenza e avere poi ricadute applicative. Lo stesso fattore di crescita nervoso Ngf da lei scoperto negli anni Cinquanta è divenuto un farmaco nel 2015: cioè dimostra che la ricerca prima o poi paga, è solo una questione di tempo", ha concluso.

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