Coltivate in laboratorio le cellule staminali ematopoietiche

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Il merito va ai ricercatori dell'università della California a San Diego che, per la prima volta, sono riusciti a coltivare in laboratorio le “fabbriche naturali” del sangue. Si tratta di un passo in avanti importante per la ricerca medica e scientifica, soprattutto nell’ambito dei trapianti di midollo e per combattere gli effetti dell'invecchiamento

Per la prima volta in assoluto sono state coltivate in laboratorio, nonostante le difficoltà legate alla moltiplicazione, le cellule staminali ematopoietiche, ovvero le “fabbriche naturali” del sangue. Si tratta di un passo in avanti importante per la ricerca medica e scientifica, soprattutto nell’ambito dei trapianti di midollo e per combattere gli effetti dell'invecchiamento, come testimonia il lavoro di ricerca condotto dagli studiosi dell'università della California a San Diego, guidati da Miriama Kruta e i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Cell Stem Cell”.

Il ruolo del gene HSF1

Il punto di partenza dei ricercatori americani, invece che cercare di coltivare sin da subito queste cellule in coltura, è stato quello di cercare di capire quali siano i meccanismi interni che le rendono malate e come porvi rimedio. Ecco che gli esperti hanno potuto scoprire come, nell'ambiente estraneo del piatto di coltura, le cellule staminali inizino a produrre proteine in eccesso, meccanismo che provoca uno stress estremo, attivando di conseguenza la risposta allo shock termico, una risposta allo stress cellulare che si innesca per combattere gli effetti negativi sulle proteine, il quale viene regolata da un gene specifico, chiamato HSF1. Grazie al lavoro dei ricercatori, poi, è stato possibile identificare due piccole molecole che attivano in eccesso proprio il gene HSF1: gli esperti, aggiungendole alle cellule in coltura, hanno verificato come si possa ripristinare l'equilibrio cellulare, sia nelle staminali ematopoietiche umane sia in quelle animali, nei topi.

Prevenire le malattie del sangue

Secondo Robert Signer, uno dei ricercatori coinvolti nello studio, grazie a questa scoperta sarà possibile “preservare cellule staminali di alta qualità in coltura per un periodo di tempo prolungato” e la speranza, ha aggiunto, è che “questa migliore qualità porti a migliori risultati clinici”. Adesso, come confermato dagli stessi esperti, un ulteriore step nell’ambito della ricerca sarà quello di valutare come queste piccole molecole possano influire sui trapianti di cellule umane. Tra le altre scoperte, infatti, è stato sottolineato come il gene HSF1 risulati inattivo nelle cellule staminali dei giovani adulti, mentre sia attivo nei pazienti di mezza età e negli anziani. “HSF1 si attiva durante l'invecchiamento per mantenere in forma le cellule staminali. Il danno alle proteine le indebolisce durante l'invecchiamento e probabilmente contribuisce a fermare la produzione di cellule immunitarie e del sangue nelle persone più vecchie”, ha spiegato ancora Signer. Grazie a questa scoperta, hanno concluso i ricercatori americani, la super-attivazione di questo gene specifico potrebbe portare a migliorare le funzioni dei tessuti e delle staminali nell'invecchiamento per prevenire le malattie del sangue.

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