In Evidenza
Altre sezioni
altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Fibrosi epatica, la mutazione di una proteina può predire l'insorgenza

Salute e Benessere
©Ansa

Si tratta, nello specifico, della mutazione della proteina chiamata “klotho-beta (KLB)” che può contribuire a predire l'insorgenza della fibrosi epatica, l'accumulo di tessuto cicatriziale che mette a rischio la funzionalità dell'organo, nei bambini e anche negli adulti obesi e con fegato grasso. A far luce sul tema, una ricerca condotta da esperti dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, insieme a quelli della Fondazione Irccs Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

Condividi:

La mutazione di una particolare proteina, chiamata “klotho-beta (KLB)” può contribuire a predire l'insorgenza della fibrosi epatica, cioè l'accumulo di tessuto cicatriziale che mette a rischio la funzionalità dell'organo, nei bambini e anche negli adulti obesi e con fegato grasso. A scoprirlo, un lavoro di ricerca coordinato dagli studiosi dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, condotto insieme alla Fondazione Irccs Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e pubblicato sulla rivista “EBioMedicine”, che fa parte del gruppo Lancet.

I dettagli dello studio

La proteina mutata, si legge in un comunicato pubblicato sul sito del nosocomio romano, “normalmente svolge un ruolo importante nella digestione e nell'assorbimento di grassi e vitamine” e la sua mutazione in pazienti obesi con fegato grasso “è associata 7 volte su 10 a infiammazione e fibrosi epatica”, un'incidenza quasi doppia rispetto alla popolazione che non presenta la mutazione. Nello studio, che ha coinvolto 249 bambini e 1.111 adulti, i ricercatori sono riusciti a dimostrare come sia i bambini che gli adulti obesi e con fegato grasso che presentano la mutazione nella proteina klotho-beta (KLB) sono “maggiormente soggetti a sviluppare la fibrosi epatica”. In particolare, la proteina KLB svolge un ruolo particolarmente cruciale “all'interno del segnale mediato da FGF19 che controlla la produzione degli acidi biliari che servono a facilitare la digestione e l'assorbimento dei grassi e delle vitamine”, hanno sottolineato gli esperti. "Per gestire al meglio i pazienti con fegato grasso sono importanti una diagnosi il più precoce possibile e il costante monitoraggio della progressione della malattia verso le sue forme più severe”, hanno rilevato gli esperti del Bambino Gesù, spiegando come “l'individuazione di marcatori biologici legati al fegato grasso offra un contributo sia sul fronte della diagnosi che del follow-up”.

L’obesità e il fegato grasso   

L'obesità, sottolineano gli esperti, è uno dei principali problemi mondiali sia nei bambini che negli adolescenti. L'aumento del numero dei bambini in sovrappeso nei Paesi industrializzati, tra l’altro, ha inciso sull’aumento di casi di fegato grasso o steatosi epatica non alcolica, che ha raggiunto “proporzioni epidemiche anche tra i più piccoli diventando la patologia cronica del fegato di più frequente riscontro nel mondo occidentale”. Il fegato grasso, continuano i ricercatori, colpisce tra il 5 e il 15% della popolazione pediatrica generale, ma tocca soglie del 30-40% tra i bambini e i ragazzi obesi. È causato dall'accumulo di grasso all'interno delle cellule del fegato e può evolvere nel tempo, se non trattata adeguatamente, verso l'infiammazione cronica del fegato (o steatoepatite non alcolica), fino alla fibrosi epatica o al carcinoma del fegato, anche in età giovanile.

approfondimento

Gravidanza, alimentazione non corretta può contribuire a obesità bimbi