“Positivo al Covid, cosa devo fare?” L'odissea del giornalista di Sky TG24 Pio D’Emilia

Lazio

Pio D'Emilia

Il racconto del nostro inviato, di “passaggio” a Roma, che non è riuscito a comunicare la propria positività alle autorità

Sono oltre 40 anni che vado in giro per il mondo a “coprire” eventi più o meno drammatici. Diciamo che ne ho viste davvero di tutti i colori e, a Dio piacendo, l’ho sempre… “sfangata”: dai tempi di Fukushima ai vari tsunami, alle crisi umanitarie ho sempre cercato di coniugare il mio diritto/dovere di stare “sul campo” con quello di non correre rischi eccessivi e soprattutto inutili. E aldilà delle difficoltà ho sempre considerato questo nostro lavoro un privilegio, per il quale vale la pena correre qualche rischio.

Anche questa maledetta pandemia pensavo di averla in qualche modo superata. Prima di rientrare in Italia lo scorso settembre, per sottopormi ad un tutto sommato semplice intervento di angioplastica, avevo mantenuto un comportamento molto responsabile, imponendomi regole e uno stile di vita più stringente di quanto richiesto dalle autorità giapponesi. Ricordo le battute che molti colleghi mi facevano, ai tempi della nave “maledetta” parcheggiata sul molo di Yokohama, quando ero tra i pochi ad indossare, anche all’aperto, la mascherina.

La positività

Prima di rientrare in Italia ho effettuato due tamponi in Giappone. E appena arrivato qui, prima di subire l’intervento a Treviso, altri due. Tutti negativi.
Stavo per prepararmi a rientrare in Giappone e per farlo, mi sono sottoposto assieme alla mia compagna all’ennesimo tampone, richiesto dalla compagnia aerea e dal governo giapponese. Molecolare. Quello “serio”, insomma. E ho scelto una struttura altrettanto seria: il Gemelli Medical Point di San Basilio. Si telefona, si prende appuntamento, si fa il test ed entro 72 ore ti comunicano il risultato. Nel nostro caso ci sono volute solo 24 ore. La mattina dopo ci hanno chiamato per comunicarci la positività. E fin qui, come dire, ci sta. Te la metti via, ringrazi di essere (per il momento) pressoché asintomatico e speri di restarlo sino al secondo tampone di controllo. 

I problemi riscontrati

Dopodiché, da buon cittadino, ti dai da fare per fare le “comunicazioni” del caso e qui cominciano le sorprese. Chi deve comunicare cosa, e a chi? Come adempiere alle varie regole?

Intanto, contrariamente a quanto ci era stato detto in fase di registrazione del tampone, nessuno si fa vivo. Oramai sono passati ben tre giorni, e sia io che la mia compagna non siamo stati contattati da nessuno. Lei, essendo residente a Roma, ha un suo medico di base, che ha ripetutamente cercato di contattare. Si è fatto vivo con un messaggino consigliandole riposo e, nel caso, tachipirina. Nessuna “denuncia” all’ASL, nessuna richiesta di informazioni sul suo stato di salute, o “istruzioni” da seguire in casi di emergenza.

A me è andata meglio, sono residente nel Bellunese, a Misurina, dove le cose funzionano un po’ meglio e i medici “di famiglia” rispondono al cellulare anche durante i week end. Spiego la situazione ed il mio medico mi garantisce che farà lui la “denuncia”. Tutto risolto? Macché.

Giustamente, ci preoccupiamo di capire cosa fare nei prossimi giorni, come chiedere/seguire una eventuale terapia domiciliare, come prepararsi ad un’eventuale emergenza. Assieme alla mia compagna proviamo tutti, ma proprio tutti, i numeri forniti dal ministero della salute e dalla regione Lazio. Niente da fare. L’unico che risponde è il 1500, che peraltro fornisce solo informazioni generiche: quando chiediamo dove dobbiamo registrarci e chi può/deve seguirci cade il sipario.

Bene. Nel frattempo, che facciamo? Come facciamo a comunicare al mondo, o semplicemente alle nostre autorità, che ci sono due positivi “abusivi”, non tracciati (anche se facilmente tracciabili) che andrebbero in qualche modo tenuti sotto controllo? Proviamo con immuni, che da buoni cittadini abbiano scaricato appena messo piede in Italia. Proviamo ad inserire i nostri dati. Niente da fare. L’app ci chiede un codice. E chi ce lo deve fornire? Il centro dove abbiamo effettuato il test. Ci armiamo di santa pazienza e dopo lunga attesa riusciamo a parlare con il Gemelli Medical Point. Spieghiamo la situazione ed un giovane, gentile quanto ignaro signore ci dice di aspettare, lasciandoci in viva voce. Subito dopo si sente un urlo: “ancora con Immuni?!?!?! Digli che non ne sappiamo nulla, non c’entriamo nulla noi… Baaastaaaa”. Capiamo. E ci apprestiamo ad avvertire, una per una, tutte le persone che abbiamo incontrato in questi giorni.

In Corea del Sud, dove il cosiddetto “TTT” (testing, tracciamento, trattamento) ha funzionato alla perfezione (infatti non hanno nemmeno avuto bisogno di un vero e proprio lockdown) tutti i positivi vengono registrati e suddivisi in asintomatici, sintomatici lievi, medi e gravi. Questo ovviamente è possibile grazie al fatto che tutti i tamponi molecolari indicano anche la carica virale (il nostro non la indica). Le ultime tre categorie vengono immediatamente ricoverate in strutture ospedaliere adeguate, i primi vengono o invitati ad auto isolarsi, o ospitati presso strutture residenziali, a spese dello stato.  In entrambi i casi vengono monitorati due o tre volte al giorno, con video chiamate, e visite domiciliari. C’è poi un vero e proprio esercito di volontari (in gran parte studenti) che si occupa delle esigenze pratiche, come fare la spesa e tenere i contatti con le famiglie. Un altro mondo. Possibile.

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