La fortuna di essere a destra, oggi

Nessuno lo avrebbe detto all’inizio dell’autunno di 3 anni fa, stagione in Italia per la formazione di un governo. Nessuno avrebbe detto che i più forti elementi di stabilità, per il governo più a destra della storia della Repubblica, sarebbero arrivati dall’estero. Tutti, a sinistra ma anche al centro e nella stessa destra, temevano il confronto con il resto del mondo, le istituzioni finanziarie internazionali, le regole europee. Il tutto nel caos belligerante con due epicentri assai vicini a noi: l’Ucraina, il Medio Oriente. Invece, succede che Giorgia Meloni intrattiene un proficuo do ut des con la Commissione europea e la sua presidente, resta salda nel sostegno a Kiev, è forse la persona verso la quale Donald Trump spende le più convinte parole di sostegno e stima. E nelle ore in cui il governo approva la sua terza finanziaria, un'altra importante agenzia di rating alza il giudizio sull’Italia e l’Europa è ben disposta anche a rivedere la procedura d’infrazione per debito eccessivo. Sul fronte interno non è tutto rose e fiori. Sempre il giorno della legge di bilancio, Sergio Mattarella ricorda, anche al governo, che il problema lavoro non è risolto con i numeri – buoni – dell’occupazione, ma occupandosi di tre macigni che pesano da anni: precarietà, bassi salari e morti bianche. E Meloni ricorda a Mattarella che con il suo esecutivo la dinamica dei salari ha ricominciato a muoversi. Se ne riparlerà. La sinistra definisce la manovra inutile, anche se qualche sorriso di soddisfazione si vede sui volti di Fratoianni e Bonelli, felici del prelievo sulle banche: prendere dai ricchi per dare ai poveri. E alla povera sanità italiana. Lecito dubitare che il problema si possa risolvere in un anno di attenzione, ammesso che l’attenzione ci sia. Ci lasciamo alle spalle le elezioni in Toscana, dove il centrosinistra vince largo: nel solco della tradizione. E con il candidato più forte, scelto opportunamente – alla fine – ma con un percorso a ostacoli – sia interni , che esterni . Che la larga vittoria sia una vittoria del campo largo, come formazione capace di far tornare il centrosinistra a essere maggioranza e, quindi, governo, è quanto meno dubbio. La Toscana da quando esistono le regioni non ha mai messo la sinistra all’opposizione, in qualunque forma abbia scelto di presentarsi. Per lo stesso motivo la vittoria di Giani non può essere definita un “rinascimento”. È una conferma. Se non fosse arrivata, il terremoto politico da quella parte sarebbe stato inevitabile. Le ultime tre contese elettorali sono la rappresentazione – concreta, numerica – del fatto che il campo largo può essere necessario ma, di certo, non è sufficiente. Conte ha bisogno di una vittoria: arrivasse – convincente – da Roberto Fico in Campania, qualche tensione si allenterebbe. Intanto però perde Chiara Appendino, vedremo con quali conseguenze. Il centrodestra, nonostante la sconfitta, non ha particolari ferite da cui guarire. Fratelli d’Italia fa il suo miglior risultato e cresce ancora in una terra non amica. Anche qui, una conferma: rivedendo alcune delle posizioni più legate a una tradizione inattuale, i Fratelli possono aspirare ad essere la Democrazia cristiana di questo secolo. I riconoscimenti del mondo intorno, insieme al movimento globale verso destra, possono aiutare. Non è chiaro se questo sia il progetto politico di Meloni, ma forse sì. Anche Forza Italia conferma di essere forza solida, come il suo solidissimo leader. Eccezione, la Lega. Il partito di Salvini va male. Anche qui conferma di un’onda lunga non positiva, nonostante la visibilità mediatica del segretario. Il flirt con l’ultradestra rappresentata dal generale Vannacci – suo vice - non paga. Fare a meno sul proscenio nazionale di personalità di spessore come i governatori Fedriga e Zaia è probabilmente un errore che qualcuno si occuperà di correggere. E più di qualcuno, dopo le tre tornate regionali, torna a esprimere il concetto che si vince al centro. Lo dice Tajani, pro domo sua. Lo dice nei nostri studi, il responsabile esteri del Pd, Provenzano, che certo non è un centrista. Forse è vero che il centro non vince ma fa vincere. Quasi ci si dimentica: si riparla di legge elettorale, prima e a prescindere dal pur famoso premierato. Forse è meglio così, dimenticarsene.

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Massimo Leoni