Come funziona davvero la richiesta di cittadinanza in Italia?

L'8 e 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari, tra cui uno di particolare rilevanza che potrebbe cambiare significativamente le regole per l'acquisizione della cittadinanza italiana e di conseguenza la vita di milioni di persone. Il quesito sulla cittadinanza, promosso da sindacati e associazioni, propone una modifica sostanziale alla normativa vigente che risale al 1992. Ad oggi per chiedere la cittadinanza i cittadini extracomunitari maggiorenni devono dimostrare dieci anni di residenza regolare in Italia prima di poter presentare domanda di naturalizzazione. Se passasse il referendum, l’attesa diventerebbe di 5 anni, in linea con altri Paesi europei come Francia, Germania, Svezia, Paesi Bassi e Irlanda. Il problema sottolineato da molti cittadini stranieri e dal movimento Italiani senza cittadinanza, è che dieci anni o, in caso cambiasse la legge, cinque, non rappresentano davvero il tempo necessario per diventare cittadini a pieno titolo, ma quello minimo da cui partire per aggiungere altri anni , come nella maggior parte delle esperienze, per concludere pratiche burocratiche infinite e costose. Secondo Nogaye Ndiaye, giurista, divulgatrice e scrittrice, e autrice del libro “Fortunatamente nera” uscito per Harper Collins nel 2023, conosciuta sui social come @leregoledeldirittoperfetto, parlare di cittadinanza in Italia significa fare i conti con una forte discrepanza tra ciò che la legge prevede e ciò che accade nella realtà: “Non bastano mai dieci anni. Conosco persone che ne hanno aspettato sedici, perché è tutto molto discrezionale, e la burocrazia è lentissima. Basta un errore, un documento mancante, e devi ricominciare tutto da capo.” Tra gli ostacoli principali, c’è la necessità di procurarsi documenti dal Paese d’origine, come il certificato di nascita, operazione che può comportare viaggi costosi, permessi dal lavoro, lunghe attese e perfino il rischio di non riuscire a tornare indietro nei tempi previsti. “Recuperare un documento può significare prendere un volo a proprie spese, chiedere ferie, affrontare code e poi sentirsi dire che sarà pronto tra due settimane”, spiega Ndiaye, “e non tutti possono permettersi un secondo viaggio. Inoltre, non tutti hanno un rapporto sereno con il proprio Paese d’origine, non conflittuale, e possono considerarlo un interlocutore affidabile a cui rivolgersi.” Per la giurista il processo è stato più semplice, paradossalmente “più privilegiato”, perché “casualmente” è nata nel nostro Paese: a 18 anni ha ricevuto una lettera dal comune, ha preso un appuntamento, ha pagato i 250 euro la marca da bollo da 16€ e ha ottenuto la cittadinanza. Ma la situazione è molto diversa per chi è arrivato in Italia da piccolo, anche solo due giorni dopo la nascita. “Rispettare i dieci anni di residenza continuativa vuol dire non poter studiare o lavorare all’estero o assentarti per lunghi periodi. Conosco mie coetanee che non hanno potuto fare l'erasmus all’università o non hanno potuto partecipare a concorsi pubblici dopo gli studi, perché non cittadine, ma magari residenti da venti o venticinque anni nel nostro Paese”, ricorda Ndiaye. Queste difficoltà e intoppi difficilmente emergono al di là di chi li vive e li subisce sulla propria pelle. Le file interminabili nelle questure delle grandi città italiane che hanno fatto notizia nei primi mesi dell’anno sono la norma per chi non ha la cittadinanza e deve andare personalmente negli uffici delle questure per rinnovare il permesso di soggiorno. La stessa Ndiaye ha passato giorni in coda insieme alla madre, in qualsiasi condizione atmosferica, fin da bambina. È un sistema che produce “un senso di esclusione istituzionalizzata”, dice, dove la differenza di trattamento rispetto ai coetanei può essere traumatizzante, perché “a sei anni non capisci perché sei in fila dalle quattro del mattino mentre i tuoi amici sono in classe”. La legge poi impone che sotto i 14 anni i minori non possano lasciare il Paese senza i genitori, e questo impedisce di fatto che gli studenti possano partecipare a gite scolastiche fuori dai nostri confini. Al tempo stesso, la discrezionalità di trattamento burocratico può portare a situazioni paradossali come l’imposizione di lasciare un minore nel paese “di provenienza”, anche se nato in Italia. Ndiaye ricorda quando nel 2021 la sua famiglia fu costretta a lasciare la sorellina di 9 anni in Senegal per due mesi a causa di un problema legato a un ritardo della questura per i documenti. Era infatti durante il periodo covid, quando i ritardi burocratici negli uffici pubblici si accumulavano in ogni settore, e nonostante ci fosse un documento che attestava la regolarità delle pratiche portate avanti dalla sua famiglia, all’aeroporto alla piccola non fu permesso di partire con il resto dei familiari. Ma il punto è che spesso si crede che questo tipo di "incidenti" capitino a persone che non hanno adempiuto correttamente alle pratiche richieste dal paese di accoglienza. Non è così, e le numerose proteste per le interminabili code alle questure di inizio anno lo hanno dimostrato. All’epoca la segretaria della Cgil Ilaria Lani, aveva dichiarato che si trattava di “problemi strutturali accentuati nel corso degli anni, dovuti alla carenza di organico rispetto a cui il ministero dell’Interno ha sopperito impiegando lavoratrici e lavoratori precari”. “Il problema è sistemico, non individuale”, sostiene Ndiaye, “è un sistema lento, pieno di ostacoli, che penalizza le persone nella loro vita concreta. Ogni storia è diversa e non è possibile avere davvero i dati che quantifichino il tempo e i soldi che servono davvero per la cittadinanza perché ogni storia è diversa”. Chi ottiene benefici dal referendum La riduzione del periodo di residenza avrebbe effetti su diverse categorie di persone. Si stima che sarebbero circa 500mila gli adulti stranieri che potrebbero già presentare domanda dopo cinque anni invece di dieci. Indirettamente, il cambiamento potrebbe semplificare il percorso anche per molti minori, perché quando un genitore acquisisce la cittadinanza italiana, può trasmetterla ai figli minorenni, accelerando così il processo di integrazione familiare. Pagella Politica ha calcolato che gli stranieri che potrebbero ottenere più facilmente la cittadinanza italiana in caso di vittoria del Sì al referendum sarebbero al massimo 1,7 milioni, perché anche se gli extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo sono circa 2,2 milioni, bisogna considerare che alcuni paesi di provenienza non consentono una doppia cittadinanza e una parte di loro rinuncerebbe a chiedere quella italiana. Ci sono poi altri requisiti da rispettare, tra cui una base di reddito annua di 8300€ lordi, e non è detto che si possa applicare a tutte le situazioni. Inoltre, non è prevista un’automazione della risposta alle domande: l’iter resterebbe lungo, e verosimilmente i 5 anni potrebbero diventare 8 o di più, a seconda dei casi.

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