Meloni e la sorpresa dei dazi "annunciati"

Sembra quasi impossibile da credere, ma a Palazzo Chigi, tanto la premier quanto il suo inner circle, erano davvero convinti che Trump potesse soprassedere al suo annuncio di dazi. O quantomeno che avrebbe rimandato ancora, certi che mai e poi mai, sull’economia globale, si sarebbe abbattuta una mannaia di queste proporzioni. Un auspicio che non si è realizzato e che li ha fatti traballare sulla sedia quando, alle 22 del 2 aprile, il “Liberation Day” trumpiano ha davvero preso forma. Si spiegano così il vertice convocato l’indomani mattina, ma soprattutto la mancanza di un messaggio chiaro al Paese e alla comunità economica. Così come l’incertezza su come tenere tutto insieme. Alle difficoltà operative, infatti, si sommano quelle politiche. La maggioranza appare coesa nella retorica, ma fragile nella strategia. LE DIVISIONI NEL GOVERNO E IL PRECEDENTE DEL 2008 Forza Italia non ha dubbi: la risposta deve essere europea, corale e unitaria, pena il rischio di essere marginalizzati nel negoziato. La Lega, al contrario, insiste sulla via bilaterale, immaginando un’Italia capace di strappare vantaggi individuali in una logica da “first mover” – che però, in contesti multilaterali, si rivela spesso miope. Un déjà vu storico, che richiama alla mente quanto accadde nel 2018, quando l’amministrazione Trump introdusse i primi dazi. In quel contesto, l’Italia fu tra i Paesi più esposti: nel 2018 esportava circa 2,5 miliardi di euro di acciaio e alluminio verso gli Stati Uniti, e fu costretta a riorientare parte della produzione verso mercati asiatici e mediorientali. Ora il rischio è ancora maggiore, perché gli Stati Uniti rappresentano il terzo partner commerciale dell’Italia, con un interscambio complessivo che ha superato i 90 miliardi di euro nel 2023, di cui oltre 65 miliardi in export Made in Italy. Ecco perché Meloni è finita nel cosiddetto “cul de sac”. Da mesi coltiva l’idea di un rapporto privilegiato con Trump, costruito attraverso numerose aperture politiche. Una narrazione che oggi la costringe a camminare sul filo del rasoio: da un lato non può criticare apertamente la Casa Bianca, dall’altro non può permettersi di isolarsi in Europa. Sganciarsi da Bruxelles è impossibile — per ragioni normative, ma soprattutto economiche e finanziarie. L’Italia dipende dal mercato unico europeo per oltre il 50% delle sue esportazioni e ha una struttura produttiva che mal sopporterebbe un regime commerciale frammentato. “NON È UNA CATASTROFE”, IL GOVERNO PRENDE TEMPO Al momento, la strategia è di gettare acqua sul fuoco. “Quella dei dazi è una scelta sbagliata – dice la premier – ma non è una catastrofe come viene raccontata.” Peccato che, di pari passo, le Borse di tutto il mondo stiano crollando, con la capitalizzazione delle imprese quotate che subisce un contraccolpo pari a quello del 2020, quando il Covid mise il pianeta in lockdown. Assicura che il governo sta lavorando, che ha avviato uno studio per misurare l’impatto delle nuove misure e che presto si incontreranno le imprese per capire il da farsi. Posizione legittima che non le evita, però, le critiche – altrettanto legittime – dell’opposizione: “Ma com’è possibile che non ci fossero piani e scenari già pronti, tarati sui diversi livelli di rischio?”, si chiede Elly Schlein. “Questo governo – conclude la segretaria del PD – non solo ha sottovalutato il problema, ma non ha la preparazione adeguata ad affrontarlo". Meloni chiede poi uno scatto all’Europa: “Sburocratizziamo i processi per le aziende, sospendiamo il Green Deal per l’automotive, rivediamo il Patto di stabilità.” Tutte richieste che possono avere un senso, ma che sembrano sempre guardare ai problemi di casa – come quello di un bilancio pubblico senza fiato – più che a una strategia di movimento in un’economia globale che non è più la stessa. Resta poi l’ultimo punto su cui la premier insiste: “Evitare la logica del dazio contro dazio, rispondendo con nuove misure che produrrebbero un effetto moltiplicatore. I dazi vanno eliminati.” Tutto condivisibile. Ma, in attesa di capire come raggiungere questo risultato, cosa si deve fare? È il passaggio che manca. E di cui pare non esservi traccia al momento. LE MOSSE DEGLI ALTRI PAESI, L’IDEA DI VOLARE DA TRUMP Macron, nel dubbio, ha invitato le imprese francesi a sospendere gli investimenti oltreoceano, in attesa che si arrivi a un auspicabile punto di equilibrio. Il governo spagnolo di Pedro Sánchez aveva già predisposto, a fine 2023, un piano industriale da 14 miliardi di euro, che includeva una clausola automatica di compensazione in caso di shock commerciali extra-UE. La Germania ha avviato un’intesa industriale con il Canada per la produzione condivisa di batterie e semiconduttori, con un orizzonte di implementazione di 6-8 mesi. Noi, per il momento, studiamo e cerchiamo di capire quali saranno gli effetti. Una linea che rischia di apparire fin troppo debole. Per questo, forse, sarebbe più utile mettere da parte l’orgoglio nazionale, sedersi al tavolo con Macron e gli altri leader europei, e provare ad articolare una risposta capace di riportare America e Vecchio Continente a un dialogo più sereno e proficuo. Nessuno vuole rompere con gli Stati Uniti. Ma non può essere una strategia quella di aspettare e prendere tempo. Anche il tentativo di mantenere una posizione equidistante tra Europa e Stati Uniti potrebbe presto rivelarsi insostenibile. Storicamente, nelle grandi crisi commerciali, chi si isola fatica a ottenere buoni risultati. E chi si muove in ordine sparso viene superato da chi costruisce alleanze strategiche. Per questo, più che mai, serve oggi una posizione comune, coordinata e coerente a livello europeo. E probabilmente non porterebbe grossi risultati neppure la scelta di andare adesso alla Casa Bianca. Idea che la premier starebbe accarezzando, nonostante molti diplomatici gliel’abbiano sconsigliata. Andare ora a Washington e, casomai, portare a casa un piccolo sconto su qualche capitolo marginale, sarebbe comunque un messaggio di disallineamento da una risposta europea. Darebbe l’idea di Paesi pronti a correre da soli, indebolendo un sistema – quello comunitario – dal quale non possiamo affrancarci. Sarebbe farsi un po’ del male da soli.

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