Tra paura e realtà, i silenzi di Meloni

Sono giorni di silenzio per Giorgia Meloni alle prese con un momento non facile. Non tanto per il suo consenso personale che i sondaggi continuano a registrare saldo intorno al 29%, quanto per quella montagna di incertezze che non le tolgono il sonno. La maggioranza stabile ma non stabilissima, la scommessa su Trump dall’esito ancora incerto, le risorse che scarseggiano e che stridono con impegni che si preannunciano inderogabili. Le chat di Fratelli d’Italia contro Salvini hanno lasciato il segno. Il vicepremier leghista non risponde a Meloni da due settimane ed agli amici più stretti avrebbe confidato che “con il presidente del consiglio non esiste più un rapporto d’amicizia”. Ammesso e non concesso che ci sia mai realmente stato, da oggi il regime è banalmente quello della convivenza. Pacifica – se possibile – ma senza sconti. L'incognita Salvini e il rischio di un nuovo Papeete La Lega – avrebbe spiegato Salvini – “ha già pagato fin troppo, ora tocca a Fratelli d’Italia. Stare in una coalizione significa investire alla pari sulla stessa, non uno che comanda e gli altri che obbediscono”. Parole di cui Meloni sarebbe stata messa a conoscenza, e che spiegherebbero in parte anche il suo silenzio. Che Salvini sia pronto a battere cassa è evidente dall’attivismo e dalle richieste degli ultimi giorni, a cominciare dalla nuova pace fiscale con la rottamazione di cartelle esattoriali per 10 milioni di italiani. Ciò che non è ancora chiaro a Meloni è quale sarebbe realmente la sua reazione davanti ad un “no”. Sarebbe pronto ad una specie di “Papeete2” o alla fine rientrerebbe nei ranghi? E cosa farebbe Tajani se venissero fatte concessioni alla Lega? Non ci sono le condizioni per un’asta al rialzo tra alleati, meglio prendere tempo e stare fermi. Anche perché il capo del governo, non si fida più di nessuno. Neppure dei suoi. E a chi prova a convincerla del contrario, sottolineando che senza condivisione nessuno è in grado di reggere il peso di Palazzo Chigi, risponde che è proprio “qualcuno di fiducia che ha passato ad un giornalista anni di conversazioni riservate”. Deve pertanto valutare da sola, si sente sola, vuole stare sola. Ma gestire la maggioranza è ogni giorno più complicato e Meloni – mai come in questo momento – si trova smarrita. Pensava che i suoi compagni di squadra avrebbero interpretato i ruoli dei gregari senza battere ciglio. Si è accorta che non solo non è così, ma che sarà sempre peggio con l’assottigliarsi del tempo che resta alla fine della legislatura. Anche se si vota nel 2027 è ben consapevole che la campagna elettorale inizierà di fatto tra dodici mesi. Ed è in quella finestra che lei – imbrigliata nel suo ufficio di Piazza Colonna – rischia di perdere tanto. E il problema vero è che non intravede soluzioni all’orizzonte. E se il rapporto con Trump non fosse così "speciale"? Come se non bastasse, c’è il nodo Trump. Smaltita la sbornia del viaggio a Mar a Lago dell’unico leader europeo presente al giuramento, oggi la relazione speciale con il presidente americano rischia di non essere il migliore dei mondi possibili. In primis perché Trump sembra determinato a colpire l’Europa senza fare grandi sconti all’Italia. In seconda battuta perché, se anche gli sconti arrivassero, l’Italia potrebbe avvantaggiarsene? A caldo, qualche settimana fa, la risposta era “si”. Ora prevale la cautela. Accettare qualche forma di esenzione o privilegio, significherebbe sganciarsi dal resto d’Europa. Per Bruxelles, da un punto di vista negoziale, potrebbe anche non cambiare molto. La rilevanza italiana, o il peso specifico, come si dice in gergo, non è tale da stravolgere il quadro. Ma da un punto di vista politico, ballare da soli, sarebbe fatale. Si acquisirebbe, forse, un “mini vantaggio americano”, ma si perderebbe qualsiasi sponda in Europa, con ogni richiesta italiana declinata al negativo. Cedere ad eventuali “avances trumpiane”, imporrebbe a Ursula Von der Leyen di non dialogare più – come è avvenuto in quest’ultimo anno – con la leader italiana. Non ci sarebbe più ascolto sui temi migratori, il confronto sulle regole di bilancio non terrebbe conto delle istanze italiane, non ci sarebbero chances di gestire il PNRR. Finito un po' nel dimenticatoio, il Piano di ripresa e resilienza, sta arrivando nella sua fase più complicata. Il ritmo di spesa dell’Italia sta dimostrando che la scadenza del giugno 2026 non è più un target raggiungibile. Anche modificando progetti e appalti, è praticamente impossibile riuscire a spendere tutte le risorse previste. L’Italia – anche se probabilmente non da sola – dovrà chiedere una dilazione. Il nostro Paese è quello più esposto e che più di tutti ha goduto dei prestiti. Se Roma scegliesse di sbattere la porta in faccia ad una “battaglia europea anti-Trump ed anti dazi”, si ritroverebbe in guai decisamente più seri. Questa situazione, ovviamente, mette in difficoltà Meloni. Perché non solo dovrà dire dei “no” a Washington – e Dio solo sa come Trump potrebbe reagire – ma dovrà cambiare tutta la narrazione sin qui tenuta. Con quel rapporto speciale, che alla fine, così speciale non potrà essere. Le spese non più rimandabili Come se non bastasse, sembra essere arrivato al punto di non ritorno anche il capitolo spese militari. Dai tempi di Obama si chiede un aumento degli investimenti, raggiungendo almeno il 2% del Pil. Allo stato attuale – dopo lo scoppio della guerra in Ucraina – siamo arrivati a spendere l’1,54%. Il nostro Paese – come altri in Europa – ha sempre fatto orecchie da mercante, pensando che alla fine non si sarebbe mai usciti dalla dimensione della pura disquisizione tra ciò che si dovrebbe fare e ciò che si fa. Ma ora tra Trump, guerre, ricostruzioni e nuove minacce, la storia è cambiata. Non si arriverà al 5% che chiede la Casa Bianca, e neppure al 3% reclamato dal segretario della Nato Mark Rutte, ma dal vecchio 2% difficilmente ci si potrà esimere. Ci saranno sicuramente nuove norme sui conti per raggiungere con meno traumi questa quota, ma al netto di tutto ciò, da qualche altra parte bisognerà comunque tagliare. E qui torna in ballo ciò che dicevamo prima. Una maggioranza divisa sul tema, un Paese la cui economia stenta, una campagna elettorale che si avvicina. Giorgia Meloni destinata a pagare il prezzo più alto e a rinnegare – ancora un volta – gli slogan del passato. Facile, quindi, intuire perché in questo momento Giorgia Meloni voglia restare sola e zitta. Anche se prima o poi dovrà fare i conti con questo incubo che coincide con la realtà di oggi.

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