Migranti, più lavoratori stranieri in Italia o misure più stringenti?

Quello sui migranti e sulla gestione dei flussi in Italia è un dibattito ancora caldissimo. Da una parte, c'è chi sostiene che l'ingresso di più migranti regolari nel nostro Paese contribuisca a favorire l'economia nazionale, garantendo a più persone nuovi posti di lavoro. Dall'altra, chi invece ritiene più opportuna una stretta sui flussi, limitando l'ingresso di immigrati in Italia. Sulla questione si è espresso anche il direttore generale della Banca d'Italia, Fabio Panetta. “Le misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari costituiscono una risposta razionale sul piano economico, indipendentemente da valutazioni di altra natura sociale o etica”, ha dichiarato il numero uno della Banca d'Italia ai microfoni di Sky Tg24. “L'ingresso di immigrati regolari andrà gestito in maniera coordinata all'interno dell'Unione, bilanciando le esigenze produttive con gli equilibri sociali e rafforzando l'integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro”, ha aggiunto. Di questo si è discusso nella seconda puntata di “Materia Grigia”, il talk di Sky Tg24 condotto da Fabio Vitale, che ha visto protagonisti – come ospiti – Insaf Dimassi, attivista e ricercatrice dell'Università di Bologna, e Francesco Giubilei, direttore scientifico della Fondazione Alleanza Nazionale. Avete parlato di figli. C'è un tema oggettivo che è il calo demografico. Di questo ha parlato di recente anche il numero uno della Banca d'Italia, Fabio Panetta, secondo cui servono più migranti regolari. Condividete questo ragionamento? Come si dovrebbe agire? Giubilei: “Io parto dicendo che il calo della natalità non si può risolvere con l'aumento dell'immigrazione. Bisogna fare delle politiche a sostegno della natalità da un punto di vista culturale ma anche soprattutto da un punto di vista economico. È inammissibile che oggi una giovane donna che vuole diventare madre si trovi talvolta nella situazione di dover scegliere se portare avanti una carriera o se poter avere un figlio. Dobbiamo intervenire da questo punto di vista e va fatto con delle politiche a sostegno della natalità. Poi ci sono determinati settori nella manifattura, nell'industria, in cui c'è una carenza di mano d'opera che l'immigrazione in parte può colmare. Però, attenzione a non far sì che si porti avanti un modello - che è quello degli ultimi anni - che prevede di utilizzare l'immigrazione, e lo dico a sostegno in primis dei migranti, come mano d'opera a basso costo. Fenomeni come il caporalato, che sono diffusi in particolare nell'area del Foggiano e non solo, dove i migranti vengono costretti a raccogliere pomodori a 2-3 euro l'ora, sono assolutamente dei fenomeni inaccettabili. Ed ecco perché noi dobbiamo avere un numero congruo di migranti che possono essere anche legati alla domanda e all'offerta del lavoro, fare arrivare dei migranti che siano congrui da un punto di vista di numeri - il decreto Flussi interviene da questo punto di vista -, offrire a loro delle giuste opportunità lavorative. Altrimenti loro finiscono nelle mani della mafia, nella criminalità organizzata e non hanno dei diritti basilari e, al tempo stesso, distruggiamo quello che è il mercato del lavoro e lo si vede purtroppo sulle condizioni salariali della classe operaia italiana”. Dimassi: “Io sono assolutamente d'accordo con il dottor Giubilei. Intanto, la popolazione migrante non può essere vista soltanto in ottica strumentale per colmare un calo demografico o per andare a coprire dei settori del lavoro che gli italiani non vogliono più fare. E quindi sono d'accordo anche sul fatto che è necessaria una legislazione corretta che permetta un ingresso regolare nel nostro Paese, senza dover rischiare la propria vita o senza dover utilizzare i canali irregolari. Rispetto a quello che ha detto Panetta, sottolineo questi punti: è necessario un mercato del lavoro equo e giusto per italiani e non italiani, in modo tale che il nostro Paese possa progredire; è necessaria un'immigrazione regolare che sia regolare e controllata - quindi l'eliminazione della Bossi Fini e la possibilità di accedere nel nostro Paese in maniera sicura, controllata, metodica – e come terza cosa, l'integrazione e quindi anche riconoscere quella fetta di italiani che siamo noi: italiani di origine straniera, italiani con un background migratorio. La fuga dei cervelli non esiste soltanto per gli italiani DOC, esiste per tutti quanti: una persona che si forma, che studia, che ottiene un sacco di skills in questo Paese e poi si ritrova ad essere sottopagata o a fare un lavoro che non corrisponde alle proprie potenzialità la porta ad emigrare. Quindi sì, investire in tutti quanti”. Parlavate di gestione dei flussi. Ogni governo ha provato a proporre la propria strategia. l'ha fatto anche il governo Meloni che di recente ha provato a gestire - almeno in parte - all'estero questo fenomeno: vedi l'accordo con l'Albania. Condividete questa strategia? Dimassi: “L'esperimento Albania si è dimostrato un flop in tutti i sensi. Le poche persone che erano arrivate sono dovute rientrare in Italia: chi perché è considerato fragile, chi per altre motivazioni. Attualmente le maggior parte delle forze dell'ordine che erano presenti sono dovute rientrare in Italia e quelle che sono rimaste se la godono tra vacanze e accudimento di cani randagi albanesi. Il centro migranti in Albania in questo momento è un grande canile per cani randagi albanesi. Quindi, credo che questo miliardo di euro sia stato buttato via e poteva essere reinvestito invece in un modello di integrazione migliore, nella modifica della legge per l'accesso nel nostro Paese. È vero, esiste un abuso del sistema della protezione internazionale in Italia, ma solo perché arrivare in maniera regolare per lavorare, per avere la dignità di una vita migliore è impossibile. Lo sa come funziona oggi la modalità per poter lavorare in Italia ed entrare come migrante regolare? Il datore di lavoro deve poter già conoscere il lavoratore che si trova in un altro Paese, fargli un contratto di lavoro sulla fiducia, ottenere il nullaosta per farlo venire in Italia e alla fine questa persona può entrare. Ci rendiamo conto che questo modello non ha senso, è inverosimile e non rappresenta effettivamente neanche le esigenze del nostro Paese? Quindi, lavoriamo sulla modifica della legge Bossi Fini, lavoriamo sulla modifica della legge sulla cittadinanza per garantire l'integrazione e non buttiamo soldi in progetti fallimentari, come appunto il progetto Albania che – ripeto – è diventato un grande canile per cani randagi albanesi”. Giubilei: “Sono stato a visitare i due centri in Albania per cercare di capire e verificare meglio il progetto che aveva immaginato il governo italiano, che ritengo essere un progetto giusto perché si basa su due elementi. Il primo elemento è il principio di deterrenza, che è molto importante quando si parla di immigrazione regolare, ovvero gli immigrati che entrano irregolarmente in Italia, pensando di poter vivere ed entrare nel sistema di asilo italiano, finiscono in Albania e in Albania - ed ecco il secondo principio - c'è un respingimento veloce entro 30 giorni. Entro 30 giorni bisogna verificare se questi migranti hanno diritto di asilo e quindi possono entrare in Italia, oppure se non hanno diritto d'asilo devono essere rimandati indietro. Quindi l'idea era giusta, era corretta ed è anche giusto puntare sui rapporti bilaterali con altre nazioni, dal momento che l'Unione Europea - al di là di tante chiacchiere - negli ultimi anni poi non è riuscita concretamente a bloccare l'immigrazione regolare. Intendiamoci, non è un problema italiano ma di tutti i Paesi di primo approdo tra cui la Spagna, tra cui Malta, tra cui la Grecia. Quindi l'Italia giustamente ha fatto da sola. Il punto qual è? Il punto è che ci troviamo di fronte a un intervento della magistratura italiana, che ha rimandato alla Corte di Giustizia Europea la decisione o meno di far funzionare questi centri, che secondo alcuni esponenti della maggioranza - poi vedremo cosa dirà l'Unione Europea - si tratta di un intervento di carattere politico. Quindi, se ad oggi non funziona non è per colpa del progetto o per colpa del governo, ma perché c'è stato un intervento della magistratura”. Dimassi: “Partiamo dal presupposto che una persona che è in cerca di protezione internazionale è una persona che chiede aiuto e protezione a un altro Paese. Il principio della protezione internazionale della Convenzione di Ginevra non può essere messo in discussione semplicemente sulla base di un pregiudizio da parte di un colore politico o un altro. La magistratura si è semplicemente attenuta alla legge internazionale e ha rimandato, per l'appunto, la decisione. Il fatto è che non stiamo facendo un processo alle intenzioni: le idee potevano essere buone, ma si sono dimostrate fallimentari e abbiamo soltanto sperperato soldi pubblici, soldi pagati dalle persone”. Giubilei: “Attenzione a non fare confusione tra i migranti che richiedono asilo e i cosiddetti migranti economici che vogliono entrare in Europa e in Italia per motivazioni che nulla c'entrano con il diritto d'asilo. L'Italia ha individuato determinati Paesi, che sono i cosiddetti Paesi sicuri, in cui si possono fare dei respingimenti. Francamente mi fa sorridere che una nazione come la Germania faccia i respingimenti in Afghanistan dove ci sono i talebani, la Polonia rimanda indietro in Bielorussia i migranti e noi italiani non possiamo rimandare i migranti in Egitto dove ci sono tanti turisti italiani”. Abbiamo parlato di regole, di burocrazia, di leggi, di scelte politiche. Cosa vuol dire essere italiani? Giubilei: “Essere italiani significa appartenere a una nazione che ha una storia, una storia millenaria; significa credere e condividere un portato di valori e un portato di identità, che è rappresentata innanzitutto dall'antichità romana, dalle civiltà preromane, ma è rappresentata anche dal cristianesimo. C'è un libro straordinario scritto da Benedetto Croce, principale filosofo del Novecento liberale e antifascista, che si intitola 'Perché non possiamo non dirci cristiani'. Croce spiega, da non cattolico praticante, come sia importante però riconoscere il contributo che il cristianesimo ha dato nella formazione della nostra identità. Essere italiani significa essere nati nella nazione più bella al mondo perché uniamo un portato di carattere storico - con i nostri monumenti, le nostre chiese, le nostre opere d'arte, la genialità imprenditoriale italiana - con un portato geografico - la bellezza delle Alpi, la bellezza delle nostre campagne, la bellezza della natura italiana. Noi dobbiamo essere orgogliosi di ciò che siamo, dobbiamo essere orgogliosi della nostra storia, dobbiamo cercare evidentemente di migliorare quelle cose che non funzionano, però francamente non cambierei l'Italia per nessun'altra nazione al mondo”. Dimassi: “Io come posso non citare il dottor Giubilei: essere italiani vuol dire essere nati o essere cresciuti nella nazione più bella al mondo, una nazione che ti garantisce un patrimonio artistico, culturale stupendo. Essere nati in Italia vuol dire conoscere la diversità dell'Italia, essere arricchiti dalla diversità culturale dell'Italia. Differentemente però dal dottor Giubilei, riconosco la portata del cattolicesimo anche banalmente nell'influenza della filosofia dei diritti umani. Il cattolicesimo ha avuto una radice importantissima nei valori occidentali, però io riconosco soprattutto la Costituzione italiana che riconosce la libertà religiosa, la libertà del proprio credo. Non è sicuramente l'aspetto religioso, che è un aspetto intimo e personale, a determinare l'italianità. L'italianità è semplicemente amare il Paese che ti cresce, è semplicemente credere nella crescita del Paese che ti cresce, è semplicemente essere parte del Paese che ti cresce. Io dico sempre che ho due mamme: una che mi ha messo al mondo, che è la Tunisia, e una che mi ha adottata e mi ha cresciuta, che è l'Italia. Ecco, per me essere italiani vuol dire questo: amare incondizionatamente il proprio Paese e lottare affinché possa essere più giusto, più equo e più inclusivo. Anche per chi non nasce direttamente italiano o non ha i fantomatici tratti somatici italiani”. La domanda incrociata degli ospiti Dimassi: “Dottor Giubilei, andando ad analizzare la situazione politica europea vediamo che su dodici Stati nell'Unione Europea che hanno adottato una legge sulla cittadinanza più favorevole per le seconde generazioni, nove al momento dell'adozione erano guidati da governi di centrodestra. In Europa c'è stata questa presa di coscienza del fatto che i diritti civili, la cittadinanza sono tematiche pre-politiche, non hanno colore politico, non dovrebbero essere pluralizzate, ma semplicemente cambiano le società, cambiano le leggi. Io mi chiedo perché, secondo lei, il centrodestra nel nostro Paese è più restio ai diritti civili e soprattutto qual è l'incongruenza tra la posizione politica di Tajani, del nostro vicepresidente del Consiglio, e il resto della maggioranza?” Giubilei: “Diciamo che in gran parte dei Paesi europei dove sono state fatte delle leggi sulla cittadinanza più ampie e quindi meno restrittive si sta tornando indietro, perché ci si è accorti che si è sbagliato. Cito il caso per esempio dell'Olanda che ha chiuso Schengen, cito il caso della Germania che peraltro è governata ad oggi da un governo socialista che rispedisce i migranti come ricordavo in Afghanistan e non solo, cito il caso della Francia dove ad oggi Macron ci rimanda indietro i migranti alla frontiera a 20 miglia, il caso della Danimarca anch'esso abbastanza emblematico, la Svezia. Questo perché c'è stata una visione, negli anni passati, che è stata una visione errata, una visione che non ha tenuto in considerazione la necessità di accogliere un numero congruo di migranti. Emblematico quando nel 2015 la Germania con Angela Merkel ha accolse un milione di profughi siriani non riuscendo poi a gestirli. Emblematico quanto fece la Svezia sempre nel 2015 con un altro milione di migranti, in una nazione da 10 milioni di abitanti. L'Europa si sta accorgendo degli errori che sono stati compiuti. Noi, in Italia, iniziamo ad affrontare determinate problematiche nelle periferie e non solo. Non dobbiamo assolutamente compiere l'errore che è stato fatto da altre nazioni europee e dobbiamo fare una distinzione tra chi ha il diritto di entrare, venire nel nostro Paese - ed è il benvenuto - e chi invece non ha diritto e non può essere accolto in Italia”. Giubilei: “Mi volevo ricollegare a uno degli ultimi passaggi anche legato alle religioni e la religione cristiana. C'è stato un fatto di cronaca che ha fatto discutere molto lo scorso anno, relativo a una scuola di Pioltello che ha deciso di chiudere per il Ramadan. Volevo chiedere se lei era d'accordo o contraria al fatto che le scuole pubbliche italiane chiudano per il Ramadan?” Dimassi: “Io onestamente da agnostica credo che chiaramente la scuola pubblica dovrebbe essere il più laica possibile. Chiaramente la chiusura delle scuole si basa sul calendario scolastico che la scuola stessa decide di fare. Molto banalmente, se avanzano dei giorni di festa inutilizzati e il consiglio di istituto - che vota l'unanimità ed è rappresentato da genitori, è rappresentato da professori, è rappresentato da studenti - decide di chiudere la scuola perché una buona porzione di questa scuola è di religione musulmana, mi sembra un gesto molto cordiale, molto carino che non mina la libertà di nessuno e che anzi è un gesto di inclusione. Non ci vedo niente di male, nel momento in cui non si vanno a minare le altre feste o le altre festività. Un bel gesto. Complimenti ai professori per l'iniziativa”.

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