Ddl Zan e legge contro l'omotransfobia: ecco come funziona all'estero

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Il disegno di legge italiano contro le discriminazioni basate su orientamento sessuale, identità di genere e contro l’abilismo continua il suo difficile cammino verso l’approvazione in Parlamento. Sono molti gli Stati europei che hanno una normativa a tutela della comunità LGBTQ+, tra chi prevede reati specifici e chi considera un’aggravante il movente omotransfobico. La tutela prevista in Spagna, Francia, Germania e Svezia

Il Ddl Zan - il disegno di legge contro l’omotransfobia, le discriminazioni basate sull’identità di genere e l’abilismo - continua il suo difficile cammino verso l’approvazione in Parlamento, tra polemiche col Vaticano, cascate di emendamenti e ostruzionismo dei partiti contrari. I gesti violenti o discriminatori per “motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali” al momento in Italia sono puniti sulla base della legge Mancino. Il Ddl Zan, dal nome del relatore Alessandro Zan -deputato del Pd- punta a estendere l’applicabilità delle sanzioni previste dalla legge Mancino anche alle discriminazioni basate su “sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità”. Sono molti i Paesi del mondo che hanno già approvato una normativa che punisce i crimini d’odio sessista e omotransfobico. Leggi simili a quella che oggi – martedì 13 luglio- arriva in discussione al Senato, dopo essere già stata approvata alla Camera nel novembre 2020- sono in vigore in 22 Paesi dell’Unione, tra cui Spagna, Germania e Francia, come riporta il sito dell'associazione Gaynet. Gli Stati che hanno esteso la protezione dai crimini d’odio ai gruppi di minoranze che il Ddl Zan punta a tutelare salgono a 28, se si considerano anche territori extra Ue ma membri del Consiglio d’Europa.

La legge spagnola

Il codice penale spagnolo considera il movente omofobico come un’aggravante dei crimini d’odio dal 1995. La legge punisce esplicitamente le persone che “pubblicamente incoraggiano, promuovono o incitano, direttamente o indirettamente, l’odio, l’ostilità, la discriminazione o la violenza contro un gruppo, una parte di esso o contro una persona specifica a causa della loro appartenenza ad esso, per motivi razzisti, antisemiti o altri motivi legati all’ideologia, alla religione o alle credenze, alla situazione familiare, all’appartenenza ad un gruppo etnico, alla razza o alla nazione, all’origine nazionale, al sesso, all’orientamento sessuale o all’identità, al genere, alla malattia o alla disabilità". Considerato come uno dei Paesi più all’avanguardia per la tutela della comunità LGBTQ+, in Spagna diverse comunità autonome – su tutte, la Catalogna- hanno inserito nella loro legislazione anche politiche di prevenzione dell’odio basate su identità di genere e orientamento sessuale.

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La legge francese

La Francia, sotto la presidenza di Chirac, ha esteso nel 2003 il reato di discriminazione all’omofobia, prevedendo un’aggravante per i reati motivati dall’orientamento sessuale. Dal 2012, accanto all’omofobia, è stato inserito nel codice penale anche il concetto di identità sessuale, poi riformulato nel 2016 con la più ampia formula “identità di genere”. La Corte di Cassazione francese ha più volte specificato che la normativa punisce unicamente i “reati di pericolo concreto” e non invece “la libera manifestazione del pensiero”. Ad esempio: una dichiarazione omofoba che non sfocia in comportamenti violenti o altro tipo di reati può essere punita se pronunciata da un politico durante un comizio, ma non se relegata a discorsi privati di un gruppo di amici. Emblematico il caso di Jean-Marie Le Pen, fondatore del Front National, condannato a 2.400 euro di multa per aver accostato in un discorso pubblico pedofilia e omosessualità, ma non per aver invece detto che “gli omosessuali sono come il sale nella zuppa: se non ce n’è abbastanza è senza sapore, se ce n’è troppo è imbevibile”.

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La tutela tedesca

A livello federale, la legge penale tedesca punisce in generale chi “in maniera tale da disturbare la pace pubblica, incita all’odio o alla violenza contro elementi della popolazione o lede la dignità di altre persone attraverso insulti o offese”. Nessun riferimento esplicito all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Tuttavia, la giurisprudenza dei tribunali tedeschi è piuttosto severa nel valutare crimini legati all’omotransfobia: secondo un'indagine condotta dal Servizio studi della Camera, i giudici di tutto il Paese tendono a infliggere pene più severe in casi di discriminazione fondata su questi motivi. Discorso diverso per le normative dei singoli Lander. Branderbugo, Saarland e Turingia, ad esempio, tutelano esplicitamente anche gli atti discriminatori o violenti per orientamento sessuale. A questi, Berlino aggiunge anche l’identità di genere.

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La Svezia

Lo stato baltico è uno degli ordinamenti più severi in materia di discriminazioni omotransfobiche: chi è giudicato colpevole di “minaccia o disprezzo” verso una persona omosessuale rischia fino a 4 anni di carcere. La Svezia è da tempo considerata come una roccaforte per la tutela in materia di diritti. La discriminazione motivata dall’orientamento sessuale è punita in via penale dal 1987, mentre quella per identità di genere ha fatto il suo ingresso nell’ordinamento 2009.

Un momento della Ddl Zan, manifestazione all' Arco della Pace, Milano 08 maggio 2021, ANSA / PAOLO SALMOIRAGO, ANSA / PAOLO SALMOIRAGO

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La situazione in Europa

Le vie legali per tutelare le vittime di omotransfobia sono essenzialmente due: l’inserimento nel codice penale di reati discriminatori specifici oppure la previsione di un’aggravante a crimini già previsti. Tra gli Stati europei che, in maniera diversa, hanno una legge che se ne occupa, ci sono anche Portogallo, Danimarca, Paesi Bassi, Romania, Regno Unito, Lituania, Finlandia, Irlanda, Islanda, Albania, Grecia, Norvegia, Austria e Lussemburgo. Nel 2004, il Parlamento Europeo ha chiesto ai Paesi UE di “adottare legislazioni penali che vietino l’istigazione all’odio sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere”. Il concetto di “identità di genere”, inserito in una raccomandazione Ue del 2010, è poi inserito nella Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, ratificata in Italia già dal 2013. Nel trattato, si parla di tutelare chi viene discriminato anche sulla base di “sesso e identità di genere”.

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