Vincere l'Abruzzo. Canta: Matteo Salvini

Politica

Massimo Leoni

Che succede dopo la prime regionali del 2019? Niente, dice il leader leghista. A parole, forse. Ma nei fatti...

Sa vincere, Matteo Salvini. In Abruzzo ha stravinto, ma fa quasi finta di niente. I compagni di contratto perdono, pur condividendo la stessa esperienza di governo, ma lui dice che non cambia nulla. Che non ha nostalgie né rimpianti per il centrodestra, che pure così nettamente vince le regionali. Insomma, a parole la Lega non vuole nulla: né rimpasti, né ministeri. Ma Matteo sa che il peso non si misura a parole. E ormai non si misura neanche con le poltrone, vista la disinvoltura con la quale finora il ministro dell’Interno si è occupato di Esteri, di Economia, di Sviluppo, di Infrastrutture. Una disinvoltura che è destinata, dopo il voto in Abruzzo, ad aumentare. Come la capacità, già assai alta, di dettare le linea politica. Sempre al netto di errori clamorosi, che però il leader leghista ha dimostrato di saper, finora, evitare.

I Cinquestelle, stavolta, pagano un prezzo alla loro natura, che finora era stato un vantaggio. Non definirsi di destra o di sinistra, non esserlo, stavolta ha provocato un’emorragia di voti a destra e a sinistra, laddove il flusso da analizzare all’indomani delle ultime consultazioni viaggiava di solito in direzione contraria, a beneficio del Movimento. L’interrogativo che i vertici dovrebbero porsi è se a penalizzarlo siano state le singole scelte politiche dell’esecutivo, oppure la scelta fondamentale: quella di stare al governo con la Lega. Comunque, rimarranno al governo. Seduti su poltrone sempre più scomode, forse, ma senza alternative. Sarà interessante vedere le reazioni nel Movimento, la profondità nell’analisi della sconfitta, la capacità di ascolto verso chi propone visioni alternative. Insomma, gli spazi di democrazia interna.

Il Pd. Può dire che il terzo polo esiste. Qualcuno si spinge a prevedere il ritorno imminente del bipolarismo. Un po’ presto. A ben vedere, ai democratici queste regionali portano una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che un’area consistente del paese – un terzo - è contraria alle forze di governo. Sembrava esserci una crisi della domanda di (chiamiamolo ancora così) centrosinistra. Invece la crisi era – soprattutto - dalla parte dell’offerta. In Abruzzo si è rimodulata e unita nell’appoggiare un candidato ben scelto, autorevole, legato al territorio. E così ha permesso alla domanda di emergere. La notizia cattiva è che il marchio Pd è debole, molto debole. E comunque non basta. Fa l’11% e l’impressione è che più quel marchio si rende trasparente e si confonde in un’offerta più ampia e articolata, meglio è per il risultato generale. Zingaretti questo sembra averlo compreso, al momento, meglio di altri. Nel suo manifesto per le primarie il simbolo del Pd non c’è.  

Consigli per l'ascolto: "Bisogna saper perdere", The Rokes

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