I Cinquestelle non si fidano più di Giorgetti, che parla troppo con Mattarella, Draghi e Tria. Ma parla anche con Buffagni. Di numeri.
Mister No. Chi se lo ricorda? Io sì. Divoratore di fumetti da (e per) tutta la vita, come faccio a dimenticarlo? Tipo solitario, simpatico. Al secolo, Jerry Drake. Anni ’50, porta in giro la gente in piper su e giù per la foresta amazzonica. Lui era il mio, ma ognuno ha il suo mister No. Quello dei Cinquestelle, ormai da un po’, vive a Palazzo Chigi, fa il sottosegretario alla presidenza del consiglio e si chiama Giancarlo Giorgetti.
Ha rischiato addirittura di fare il presidente del Consiglio. Quando più che mister No era “il mediatore”, risolveva problemi e cercare di estirpare la zizzania. Quando il Movimento si fidava di lui. Però di lui si fidavano in troppi. Mattarella, per esempio. Draghi, per esempio. Forza Italia, pure. Allora il Movimento, da un po’, non si fida più.
È diventato, dicono, come gli odiati tecnici. Invece di oliare i meccanismi della macchina gialloverde e far funzionare le sue amicizie per farla andare dritta e veloce, si diverte (!) a mettere bastoni fra le ruote. Le cabine di regia (mettiamoci d’accordo: chiamasi c.d.r. qualsiasi ambiente chiuso dove siano riuniti almeno due esponenti del governo Conte) risuonano dei suoi: “questo costa troppo”, “questo non si può fare”, “su quest’altro andiamo allo scontro con Bruxelles”, “così ci abbassano il rating”. E poi sembra che continui a parlare con Mattarella e Draghi (e Tria, pare). Il che peggiora le cose. Cioè, le peggiora per il Movimento, che vede le sue percentuali di consenso scendere e quelle della Lega esplodere. Colpa della piega che spesso prendono le cose (e i provvedimenti) e che spesso – si lamentano i Cinquestelle - è opera di Giorgetti.
Potenzialmente esplosiva, la situazione ha una possibilità di essere disinnescata: vive nei pressi di palazzo Chigi, fa pure lui il sottosegretario (agli Affari regionali), piace agli uomini che piacciono: Casaleggio, Di Maio, Dettori. È Stefano Buffagni. Lui con Giorgetti parla.
Ad entrambi piacciono i numeri. Li capiscono. Hanno la pazienza di spiegarli e di spiegarne le conseguenze. Giorgetti lo fa con Salvini, Buffagni con Di Maio. Seminano un terreno che in questo momento è comune, nella speranza di avere frutti che possano restare sulla stessa tavola. Vedremo.
Ps. Il Pd ha già presentato, per bocca del suo segretario Martina, una manovra di bilancio alternativa a quella del governo, il 4 ottobre scorso. Matteo Renzi aprirà la sua Leopolda (ancora poche ore di pazienza), presentando una manovra di bilancio alternativa, scritta con Pier Carlo Padoan. Molte manovre, molto onore.
Consigli per l’ascolto: “Two Hearts are Better than One”, Bruce Springsteen