Ci sono stati momenti in cui il padre nobile ha platealmente smentito l'erede investito dai voti degli attivisti. Ma è accaduto anche il contrario
Beppe Grillo è stato il demiurgo che ha portato Luigi Di Maio ai vertici del Movimento, nato in tandem con Gian Roberto Casaleggio. Ma ci sono stati momenti in cui il padre nobile ha platealmente smentito l'erede investito dai voti degli attivisti della piattaforma Rousseau che lo hanno scelto, nel novero con sconosciuti carneadi, per vestire i panni del capo politico. Ma è accaduto anche il contrario: il giovane leader che prende le distanze dalle sortite del fondatore. L'ultimo episodio è di queste ore: al centro della disputa l'Ilva, il colosso dell'acciaio di Taranto. "Per ora blocchiamo l'Ilva, nei prossimi mesi al lavoro anche su flat tax e reddito di cittadinanza e sulle pensioni d'oro perché dobbiamo realizzare le promesse", il post di Grillo. Gelida la replica del vicepremier: "Sull'Ilva Grillo esprime solo opinioni personali. Vedrò io".
Le alleanze
Un altro episodio che ha visto scricchiolare l'asse tra i due è quello che ha abbattuto un totem della dottrina a 5 Stelle: il divieto di alleanze con i partiti che hanno incarnato il sistema. Siamo alla fine di gennaio quando la campagna elettorale sta per entrare nel vivo: Di Maio fa professione di realpolitik e per cullare il sogno di palazzo Chigi avverte: "Con questa legge elettorale non avremo la maggioranza. Le intese sono l'unica via per governare. La sera del 4 marzo faremo un appello sui temi ai partiti per non lasciare il Paese senza governo". Una rivoluzione copernicana che il fondatore, custode della purezza delle origini, stronca davanti alle telecamere mentre è in fila al Viminale per depositare il simbolo elettorale: "Come dire ad un panda di mangiare carne cruda", sibila Grillo.
Gli avvisi di garanzia
Copione diverso per la vicenda legata all'avviso di garanzia recapitato all'assessora all'ambiente della giunta Raggi, Paola Muraro, che decise di dimettersi in attesa di fare piena luce sui reati che le venivano contestati. La vicenda girava intorno al fatto che l'assessora avesse tenuto nel cassetto la notizia sull'inchiesta che la riguardava che risaliva all'aprile del 2016 per poi comunicarla alla sindaca soltanto a luglio. Una scelta inammissibile per lo statuto a 5 stelle che ha costretto Luigi Di Maio a fare mea culpa dal palco di un comizio a Nettuno nel settembre del 2016. "Ho pensato che l’iscrizione nel registro degli indagati venisse da un esposto di uno del Pd. E non ho informato il direttorio romano del Movimento 5 stelle". Un’ammissione gradita al garante, vestale della liturgia e dei valori grillini fin dai tempi del Vaffa day.