Jobs act: trovata intesa nel Pd. Ma Ncd: "Tutto aperto"

Politica

Torna il diritto al reintegro per i licenziamenti ingiustificati di natura disciplinare nel testo sul quale l'esecutivo non metterà la fiducia. Protesta Ncd, che incontra Delrio a Palazzo Chigi. Renzi: "Partita chiusa"

In 'zona Cesarini' una fumata 'grigia' sulla trattativa sul Jobs Act concretizza l'apertura del governo alla minoranza Pd. Nessun voto di fiducia sul testo del Senato ma l'approvazione alla Camera, in tempi brevi, del testo che uscirà dalla commissione Lavoro, à la mediazione trovata su un testo che recepirà le proposte sancite nella direzione Pd, a cominciare dalla tipizzazione del reintegro per i licenziamenti disciplinari. "Un grandissimo passo avanti", è il sigillo posto dal premier Matteo Renzi che parla di "partita chiusa" e di articolo 18 "superato". Intesa che invece fa scendere immediatamente sulle barricate l'altra faccia della maggioranza, il Nuovo Centrodestra, che in serata a Palazzo Chigi vede "informalmente" il responsabile economico Dem Filippo Taddei.

Renzi: "Dal primo gennaio in vigore le nuove regole sul lavoro"
- La giornata è convulsa, anche perché, come anticipato ieri da Renzi al Nazareno, i nodi stanno venendo al pettine. Poco prima della capigruppo convocata alla Camera per calendarizzare Jobs Act e legge di stabilità è Roberto Speranza, spesso cuscinetto tra la sinistra Pd e l'ala maggioritaria del partito, ad annunciare un'intesa che solo ieri sembrava inaspettata. "Non ci sarà nessuna fiducia al testo del Senato, verrà ripreso l'odg della direzione", spiega il capogruppo Pd al quale fanno subito seguito le affermazioni del vicesegretario Lorenzo Guerini ("l'intesa risponde a chi voleva aprire fronti nel Pd" e poi, da Bucarest, la 'benedizione' del premier: "Bene così, andiamo avanti, il primo gennaio andranno in vigore le regole sul lavoro". Una benedizione, spiegano da Palazzo Chigi, che non va interpretata come un cedimento alle rivendicazioni della sinistra Dem.

Soddisfazione della minoranza Pd
- Ed è lo stesso Renzi a precisare come i margini di trattativa per la minoranza siano finiti: "la partita è chiusa si voterà a ore". Il timing - rapidissimo - e l'avvicendarsi in Aula della riforma del lavoro e della legge di stabilità rispettano infatti le intenzioni del premier: il voto finale sul Jobs Act sarà entro il 26 novembre, per il giorno dopo è previsto invece l'approdo della legge di stabilità. E resta tutt'altro che escluso, come ribadisce Renzi, che sul nuovo testo della commissione sia messa la fiducia. Ma la mediazione trovata oggi sembra per ora bastare ad una buona fetta della minoranza. Si tratta di "modifiche vere, di contenuto, positive e che migliorano la delega, non solo sull'annosa questione dell'art. 18", sottolinea Cesare Damiano, tra i protagonisti della negoziazione. E anche Stefano Fassina appare soddisfatto: "il governo prende atto del ruolo del Parlamento".

Rabbia Ncd: "La partita è ancora aperta" - Ma l'intesa trovata con il gruppo Pd in commissione vede subito insorgere Ncd, a partire da Maurizio Sacconi, che chiede un vertice di maggioranza. E in serata è lo stesso Sacconi, con Nunzia De Girolamo, a recarsi a Palazzo Chigi per un 'chiarimento' informale. Incontro che, se da un lato serve a mitigare l'ira di Ncd dall'altro non basta a chiudere la frattura. "Si tratta, la partita è aperta", è il warning lanciato da Sacconi che preannuncia nuovi incontri della maggioranza sul tema. Incontri che, tuttavia, difficilmente potranno mettere in dubbio quel punto di caduta trovato oggi sull'art.18, in particolare sulla tipizzazione del reintegro dei licenziamenti disciplinari. Ma il sentiero in cui dovrà muoversi Renzi da qui a fine anno non è solo economico. "Non possiamo partecipare al Patto del Nazareno e anche al patto del gambero" sul Jobs Act, sottolinea De Girolamo evocando l'incrocio tra legge elettorale e Jobs Act che vede il premier stretto tra maggioranza, FI e sinistra Pd. Ed è soprattutto sul primo punto che Ncd difficilmente farà concessioni laddove sulla riforma del lavoro è cambiato il punto di partenza, il testo del Senato, ma non è certo sfumato un dibattito che, in commissione e in Aula si preannuncia intricatissimo.

Il Jobs Act ricompatta il Pd ma divide il governo. L'esecutivo preferirebbe che alla Camera non venga messa la fiducia sul testo uscito dal Senato, ma le incertezze delle ultime ore potrebbero fargli cambiare idea. Nella serata di giovedì a Palazzo Chigi arrivano Maurizio Sacconi e Nunzia De Girolamo a Palazzo Chigi per chiedere un chiarimento. Incontro alla fine del quale peri dichiarano: "La partita è ancora aperta".



Cambiamenti al Jobs Act emersi in direzione Pd
- A far infurirare quelli del Ncd i cambiamenti emersi dalla direzione del Pd e finiti nel testo. “Abbiamo deciso di fare modifiche rilevanti”, aveva infatti detto il capogruppo del Pd Roberto Speranza spiegando che si riprenderà l'ordine del giorno approvato in Direzione". Nel testo dovrebbe tornare dunque il diritto al reintegro per i licenziamenti ingiustificati di natura disciplinare, oltre che per quelli discriminatori. Cambiamento accolti con favore dalla minoranza del partito, dal premier Matteo Renzi (che parla di "un grande passo in avanti") e il ministro Poletti, secondo cui l'accordo "rende certa l'approvazione del provvedimento nei tempi richiesti dal governo e ne conferma i contenuti".

Renzi: "Avanti così" - "Il 1° gennaio entreranno in vigore le nuove regole sul lavoro. E' un grandissimo passo in avanti", dice Renzi, aggiungendo che quello che sta emergendo nella mediazione sul jobs act "è tutto quello che è stato deciso nella direzione del Pd". "Bene così andiamo avanti", ha concluso.
"La forma decisa mi pare molto buona, ci sono molti argomenti" perché la maggioranza resti insieme, aggiunge poco dopo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio.



Ncd frena: "Non basta l'ok del Pd". -
"Una partita tutta aperta" è invece il commento di Nuovo Centrodestra, dopo un incontro con lo stesso Delrio. Qualche ora prima, Maurizio Sacconi aveva detto che il suo partito “vuole discutere ora in una riunione di maggioranza le eventuali modifiche alla delega". 

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