Le critiche dei renziani al ministero dell'Economia sono solo le ultime di un lungo elenco di polemiche della maggioranza nei confronti di tecnici e politici che si sono succeduti negli ultimi anni in via XX Settembre
di Filippo Maria Battaglia
Le ultime bordate, in ordine di tempo, sono state rivolte a Fabrizio Saccomanni, coi renziani del Pd costretti a smentire la richiesta di dimissioni del ministro dopo il dietrofront del governo sulla restituzione degli scatti delle buste paga degli insegnanti.
Ma Saccomanni, ormai, deve averci fatto il callo: le critiche nei suoi confronti da parte di esponenti della maggioranza non sono nuove. Brunetta e lo stato maggiore di Pdl e poi Forza Italia in questi mesi, lo avevano già abituato: sulla legge di stabilità (“è sbagliata”), sull’Imu (“non è serio”), sull’Iva (“è opaco”), sui conti pubblici (“sembrano segreti come la formula della Coca-Cola”).
Un campionario esteso e variegato, puntellato dalla decisione della neonata Forza Italia di motivare l’uscita dal governo per il maxiemendamento alla legge di stabilità (e smentendo quindi che la vera motivazione fosse la decadenza da senatore di Berlusconi).
Del resto, lo stesso Berlusconi da quando è in politica sull’economia ha spesso giocato le sue battaglie e incentrato le campagne elettorali (dal "milione di posti di lavoro" fino all'annuncio dell'abolizione dell’Ici e dell'Imu).
Tanto da dichiarare mesi fa di vedersi bene come ministro dell’Economia in un governo con a capo l’ormai ex delfino Alfano. “La centralità di quel ministero”, “dove si decide tutto”, Berlusconi, lo aveva capito già bene durante l’ultima esperienza di governo. Tra il 2010 e il 2011 lo sferrigliare quotidiano tra lui e Tremonti era cronaca politica. Il primo chiedeva più risorse “per la crescita”, il secondo tirava il freno a mano paventando il rischio di un “default incombente”.
Scontro proseguito anche con la nomina - era l'autunno del 2011 - del nuovo governatore di Bankitalia: Tremonti insisteva per Vittorio Grilli, Berlusconi voleva Saccomanni.
Due nomi che - paradossalmente - lo stesso Berlusconi avrebbe poi più volte contestato come ministri di un governo appoggiato dal suo partito, dopo le sue dimissioni da Palazzo Chigi, nate da “un colpo di Stato” e dall'“Europa ostile” fotografata nell'ormai celebre risata tra Merkel e Sarkozy.
Le critiche del leader di centrodestra ai ministri dell'Economia non sarebbero finite lì. Il Cavaliere avrebbe bacchettato lo stesso Monti (ministro ad interim, prima della nomina di Grilli), spiegando che “è ricorso a un mare di tasse per fare la sua manovra, non c' è continuità tra il mio governo e questo”. E non sarebbe stato il solo. Da Pd (e sindacati) il tenore sarebbe stato lo stesso e le critiche si sarebbero concentrate con i tagli "lacrime e sangue", senza "pensare alla crescita e al bene del Paese".
Anche quando i democratici negli ultimi anni sono stati al governo, alcuni degli sgambetti più insidiosi sono infatti arrivati proprio sui temi economici. Il caso più clamoroso fa capo all’ex viceministro Fassina. Ad ottobre sulla legge di stabilità aveva annunciato per la prima volta le sue dimissioni; qualche settimana prima le sue frasi su ''un'evasione di sopravvivenza'' avevano creato un'altra polemica, stavolta interna al suo partito. ''La linea del Pd è quella che l'evasione si combatte. E' un punto fermo'', aveva tagliato corto la segreteria del partito, ''la sua frase è stata equivocata''.
Equivoci, battibecchi, polemiche. Sarà pure vero che “a volte i conti non tornano”, come ha più volte detto Brunetta, ma è certo che dalla crisi internazionale iniziata nel 2008 i conti, i partiti della maggioranza, li fanno innanzitutto con loro, i ministri dell'Economia appunto.
Le ultime bordate, in ordine di tempo, sono state rivolte a Fabrizio Saccomanni, coi renziani del Pd costretti a smentire la richiesta di dimissioni del ministro dopo il dietrofront del governo sulla restituzione degli scatti delle buste paga degli insegnanti.
Ma Saccomanni, ormai, deve averci fatto il callo: le critiche nei suoi confronti da parte di esponenti della maggioranza non sono nuove. Brunetta e lo stato maggiore di Pdl e poi Forza Italia in questi mesi, lo avevano già abituato: sulla legge di stabilità (“è sbagliata”), sull’Imu (“non è serio”), sull’Iva (“è opaco”), sui conti pubblici (“sembrano segreti come la formula della Coca-Cola”).
Un campionario esteso e variegato, puntellato dalla decisione della neonata Forza Italia di motivare l’uscita dal governo per il maxiemendamento alla legge di stabilità (e smentendo quindi che la vera motivazione fosse la decadenza da senatore di Berlusconi).
Del resto, lo stesso Berlusconi da quando è in politica sull’economia ha spesso giocato le sue battaglie e incentrato le campagne elettorali (dal "milione di posti di lavoro" fino all'annuncio dell'abolizione dell’Ici e dell'Imu).
Tanto da dichiarare mesi fa di vedersi bene come ministro dell’Economia in un governo con a capo l’ormai ex delfino Alfano. “La centralità di quel ministero”, “dove si decide tutto”, Berlusconi, lo aveva capito già bene durante l’ultima esperienza di governo. Tra il 2010 e il 2011 lo sferrigliare quotidiano tra lui e Tremonti era cronaca politica. Il primo chiedeva più risorse “per la crescita”, il secondo tirava il freno a mano paventando il rischio di un “default incombente”.
Scontro proseguito anche con la nomina - era l'autunno del 2011 - del nuovo governatore di Bankitalia: Tremonti insisteva per Vittorio Grilli, Berlusconi voleva Saccomanni.
Due nomi che - paradossalmente - lo stesso Berlusconi avrebbe poi più volte contestato come ministri di un governo appoggiato dal suo partito, dopo le sue dimissioni da Palazzo Chigi, nate da “un colpo di Stato” e dall'“Europa ostile” fotografata nell'ormai celebre risata tra Merkel e Sarkozy.
Le critiche del leader di centrodestra ai ministri dell'Economia non sarebbero finite lì. Il Cavaliere avrebbe bacchettato lo stesso Monti (ministro ad interim, prima della nomina di Grilli), spiegando che “è ricorso a un mare di tasse per fare la sua manovra, non c' è continuità tra il mio governo e questo”. E non sarebbe stato il solo. Da Pd (e sindacati) il tenore sarebbe stato lo stesso e le critiche si sarebbero concentrate con i tagli "lacrime e sangue", senza "pensare alla crescita e al bene del Paese".
Anche quando i democratici negli ultimi anni sono stati al governo, alcuni degli sgambetti più insidiosi sono infatti arrivati proprio sui temi economici. Il caso più clamoroso fa capo all’ex viceministro Fassina. Ad ottobre sulla legge di stabilità aveva annunciato per la prima volta le sue dimissioni; qualche settimana prima le sue frasi su ''un'evasione di sopravvivenza'' avevano creato un'altra polemica, stavolta interna al suo partito. ''La linea del Pd è quella che l'evasione si combatte. E' un punto fermo'', aveva tagliato corto la segreteria del partito, ''la sua frase è stata equivocata''.
Equivoci, battibecchi, polemiche. Sarà pure vero che “a volte i conti non tornano”, come ha più volte detto Brunetta, ma è certo che dalla crisi internazionale iniziata nel 2008 i conti, i partiti della maggioranza, li fanno innanzitutto con loro, i ministri dell'Economia appunto.