Il premier difende il proprio lavoro e spiega: l'esecutivo non deve essere un campo di battaglia. Sulla Costituzione: "Il bicameralismo perfetto è una follia". Oggi l'intervento alla festa dell'Udc di Chianciano e alla fiera del Levante di Bari
La premessa è che Silvio Berlusconi non staccherà la spina del governo. Solo così si capisce il senso del messaggio che Enrico Letta decide di recapitare - stavolta principalmente al Pd - dal palco di Scelta Civica. Un messaggio destinato a quanti, dietro le quinte, remano contro il suo governo: basta vergognarsi delle larghe intese perché in tutti i paesi europei le grandi coalizioni nascono con l'obiettivo di fare quelle riforme che nessun partito, da solo, può realizzare. A cominciare dall'ammodernamento di quella carta costituzionale che è certamente "la più bella del mondo" nella sua prima parte, ma non nella seconda visto che contiene alcune "follie" come ad esempio il bicameralismo perfetto.
Parole che dimostrano due cose. Primo: il presidente del Consiglio avverte il rischio che l'infinito dibattito sul destino di Berlusconi monopolizzi l'attenzione politica e dei media, relegando in secondo piano l'azione del governo. Secondo: riconosce che il governo ha bisogno di una "svolta" e promette che questa ci sarà a partire dalla legge di stabilità, che dovrà tagliare il costo del lavoro abbattendo il cuneo fiscale.
E non è un caso che dica queste cose proprio alla Festa del partito di Mario Monti. L'ex premier lo elogia, definendolo il "miglior successore possibile", ma lo incalza anche a non cedere mai più ai diktat dei partiti di maggioranza, come avvenuto sull'Imu. La risposta di Letta parte da una disamina di quanto realizzato dal governo. Difende le scelte fatte, ricordando i risultati raggiunti. Nel farlo lancia la prima stoccata, che sembra diretta a Matteo Renzi: "Se c'è una cose che detesto è la politica fatta di battute", soprattutto quanto la gente si attende risposte concrete. Ricorda il "sacrificio" di Napolitano e mette in guardia sui rischi di "impazzimento politico". Ma soprattutto rivendica il diritto-dovere di ammodernare la Costituzione, contro il "conservatorismo istituzionale". Ribadisce poi la necessità di cambiare la legge elettorale, sottolineando di non voler restare a palazzo Chigi unicamente perché non si può andare a votare con il "porcellum". Promette che la service tax, che dall'anno prossimo sostituirà l'Imu, sarà più "equa" e "giusta". Sottolinea che all'Italia serve una politica industriale, ricordando quanto si siano pentiti quei Paesi che hanno abbandonato il comparto manufatturiero. Contesta il motto tremontiano secondo cui con la cultura non si mangia, sostenendo che deve essere un volano per lo sviluppo. Ed assicura Monti sul fatto che proseguirà sulla strada del risanamento, puntando però ad una maggiore crescita.
Ma il cuore del suo intervento è sulla necessità di credere in quello che si sta facendo. Un richiamo soprattutto a quelle componenti del Pd - renziani certamente, ma anche dalemiani e bersaniani - che mal digeriscono l'alleanza con il Pdl e che (forse è proprio questo il timore inconfessato di Letta) potrebbero decidere di puntare al voto a marzo spartendosi segreteria e governo. "A volte - avverte Letta in uno dei passaggi più applauditi - ho l'impressione di essere un campo di battaglia in cui se le danno di santa ragione. Così non funziona, non si va da nessuna parte". Bisognerebbe al contrario usare questo "percorso fino in fondo" per cercare di "trovare compromessi" cha facciano avanzare il Paese. "Nessuno - aggiunge ironico - si prendera' un virus o sara' contagiato: non dobbiamo vergognarci di quello che stiamo facendo" perché stiamo lavorando per il cambiamento del Paese con "risultati potenzialmente rivoluzionari". A patto che, aggiunge con quello che pare un implicito riferimento al sindaco di Firenze, "si voglia davvero cambiare l'Italia" perché "quando sento certe critiche" penso che ci sia anche chi "preferisce che tutto resti così".
Parole che dimostrano due cose. Primo: il presidente del Consiglio avverte il rischio che l'infinito dibattito sul destino di Berlusconi monopolizzi l'attenzione politica e dei media, relegando in secondo piano l'azione del governo. Secondo: riconosce che il governo ha bisogno di una "svolta" e promette che questa ci sarà a partire dalla legge di stabilità, che dovrà tagliare il costo del lavoro abbattendo il cuneo fiscale.
E non è un caso che dica queste cose proprio alla Festa del partito di Mario Monti. L'ex premier lo elogia, definendolo il "miglior successore possibile", ma lo incalza anche a non cedere mai più ai diktat dei partiti di maggioranza, come avvenuto sull'Imu. La risposta di Letta parte da una disamina di quanto realizzato dal governo. Difende le scelte fatte, ricordando i risultati raggiunti. Nel farlo lancia la prima stoccata, che sembra diretta a Matteo Renzi: "Se c'è una cose che detesto è la politica fatta di battute", soprattutto quanto la gente si attende risposte concrete. Ricorda il "sacrificio" di Napolitano e mette in guardia sui rischi di "impazzimento politico". Ma soprattutto rivendica il diritto-dovere di ammodernare la Costituzione, contro il "conservatorismo istituzionale". Ribadisce poi la necessità di cambiare la legge elettorale, sottolineando di non voler restare a palazzo Chigi unicamente perché non si può andare a votare con il "porcellum". Promette che la service tax, che dall'anno prossimo sostituirà l'Imu, sarà più "equa" e "giusta". Sottolinea che all'Italia serve una politica industriale, ricordando quanto si siano pentiti quei Paesi che hanno abbandonato il comparto manufatturiero. Contesta il motto tremontiano secondo cui con la cultura non si mangia, sostenendo che deve essere un volano per lo sviluppo. Ed assicura Monti sul fatto che proseguirà sulla strada del risanamento, puntando però ad una maggiore crescita.
Ma il cuore del suo intervento è sulla necessità di credere in quello che si sta facendo. Un richiamo soprattutto a quelle componenti del Pd - renziani certamente, ma anche dalemiani e bersaniani - che mal digeriscono l'alleanza con il Pdl e che (forse è proprio questo il timore inconfessato di Letta) potrebbero decidere di puntare al voto a marzo spartendosi segreteria e governo. "A volte - avverte Letta in uno dei passaggi più applauditi - ho l'impressione di essere un campo di battaglia in cui se le danno di santa ragione. Così non funziona, non si va da nessuna parte". Bisognerebbe al contrario usare questo "percorso fino in fondo" per cercare di "trovare compromessi" cha facciano avanzare il Paese. "Nessuno - aggiunge ironico - si prendera' un virus o sara' contagiato: non dobbiamo vergognarci di quello che stiamo facendo" perché stiamo lavorando per il cambiamento del Paese con "risultati potenzialmente rivoluzionari". A patto che, aggiunge con quello che pare un implicito riferimento al sindaco di Firenze, "si voglia davvero cambiare l'Italia" perché "quando sento certe critiche" penso che ci sia anche chi "preferisce che tutto resti così".