Tra veti e franchi tiratori, tutte le elezioni al Quirinale

Politica
Gli ultimi quattro presidenti della Repubblica, Ciampi, Scalfaro, Napolitano e Cossiga

Anche per la scelta del 12esimo presidente non mancano i nomi dei favoriti. Ma dal '46 a oggi spesso i candidati ufficiali hanno dovuto lasciare il passo agli outsider. Da De Nicola a Napolitano, come è stata scelta la più alta carica dello Stato

di Isabella Fantigrossi

Mancano pochi giorni all'inizio delle votazioni per l'elezione del dodicesimo presidente della Repubblica. E anche a questo turno non mancano i nomi dei favoriti. Si parla di Emma Bonino, Romano Prodi, Gianni Letta e molti altri. Dal 1946 a oggi però la storia dimostra che a causa di lunghe trattative e veti incrociati i favoriti devono in genere lasciare il passo agli outsider, i nomi comparsi all'ultimo minuto su cui far confluire i voti delle due Camere riunite in seduta comune. Solo in tre occasioni, nel 1946 per l'elezione del primo presidente, Enrico De Nicola, nel 1985 per quella dell'ottavo, Francesco Cossiga, e nel 1999 per il decimo, Carlo Azeglio Ciampi, i giochi si risolsero con un solo scrutinio. Tutte le altre volte sono stati necessari parecchi giorni, numerosi scrutini e una lunga lista di nomi in campo.

De Nicola - Enrico De Nicola fu eletto capo provvisorio dello Stato il 28 giugno 1946, meno di un mese dopo l'istituzione della Repubblica. A eleggerlo fu l'assemblea costituente uscita dalle elezioni del 1946. Eletto al primo scrutinio, ebbe 396 voti su 501, 73 in più dell'allora prescritto quorum dei tre quinti.

Einaudi - Luigi Einaudi, invece, fu il primo presidente della Repubblica a essere eletto dopo l'entrata in vigore della Costituzione dal Parlamento in seduta comune. Einaudi fu eletto al quarto scrutinio con 518 voti su 872. Ma prima che si giungesse alla sue elezione, il nome del favorito era quello di Carlo Sforza, ministro degli Esteri repubblicano che doveva contare sui voti della Dc. Così non fu: Sforza, osteggiato dalla sinistra Dc, al primo scrutinio ebbe solo 353 voti mentre 396 ne prese l'uscente De Nicola. In questa votazione si ebbe la prima manifestazione dei cosiddetti franchi tiratori, quei voti promessi o dichiarati per un candidato che poi, nel segreto dell'urna, vengono diversamente destinati. La Dc puntò quindi su un laico, all'epoca ministro del Bilancio già governatore della Banca d'Italia: Luigi Einaudi. Claudicante, ebbe qualche remora ad accettare a causa di questa sua condizione, ma gli ambasciatori Dc ricordarono con discrezione la poliomelite di Franklin Delano Roosevelt.

Gronchi - Anche Giovanni Gronchi fu eletto al quarto scrutinio. E alla vigilia del primo voto del 28 aprile 1955 gli schieramenti in campo erano altri: il candidato della Dc era Cesare Merzagora, presidente del Senato, quello del Pci e del Psi era Ferruccio Parri. I liberali e i socialdemocratici sostenevano invece Einaudi. Merzagora fin dal primo scrutinio non ebbe i voti di tutta la Dc, 160 in meno del previsto, mentre già dal primo voto trenta parlamentari cominciarono a votare Gronchi, allora presidente della Camera, Dc considerato di sinistra, il nome sul quale poi confluirono 658 voti, tra cui quelli dei missini e dei monarchici.

Segni - Nel 1962 il nome di Antonio Segni era quello di bandiera della Dc ma ci vollero nove votazioni per arrivare alla sua elezione. Il suo nome, legato alla destra della Dc, era stato scelto per bilanciare al Quirinale l'imminente nascita del centrosinistra. A ostacolarlo però il socialdemocratico Giuseppe Saragat che al sesto scrutinio ottenne 314 voti mentre Segni 399. A quel punto Saragat scrisse a Moro, segretario della Dc, dichiarandosi disposto a ritirare la candidatura se Segni avesse fatto altrettanto. Il tentativo non ebbe però risultati: la Dc insistette su Segni che alla nona votazione ottenne 443 voti contro i 334 dell'avversario. Era quasi la mezzanotte del 6 maggio 1962.

Saragat - Il 6 dicembre del 1964, quattro mesi dopo una trombosi cerebrale, Segni si dimise. Dal 16 al 28 dicembre, Natale compreso, si svolsero così le nuove elezioni, le più lunghe mai avvenute fino a quel momento. La Dc presentò Giovanni Leone come candidato ufficiale, il Psi, il Psdi e il Pri Saragat. Dopo tre scrutini senza esito, la candidatura di quest'ultimo fu ritirata e si arrivò all'undicesimo voto con Leone che aveva a disposizione 382 voti. Al tredicesimo salì la candidatura di Pietro Nenni e così la Dc accettò di ritirare il nome di Leone. Tra Natale e Santo Stefano si votò due volte senza alcun risultato. Solo al diciottesimo voto i primi segni della svolta: anche qualche democristiano cominciò a votare Saragat che però dovette vedersela ancora con Nenni sostenuto dal Pci. A risolvere l'ultimo impasse un incontro tra i due: Nenni si dichiarò pronto a ritirare la candidatura se Saragat fosse riuscito a far convergere sul suo nome i voti sia della Dc che del Pci. Così successe: Saragat fu eletto al ventunesimo scrutinio con 646 voti.

Leone - Il record dell'elezione più lunga nella storia della Repubblica spetta però a Giovanni Leone che fu eletto dopo 23 scrutini e 16 giorni di voto, dal 9 al 24 dicembre del 1971. Anche questa volta si presentò la solita situazione: al candidato ufficiale della Dc, Amintore Fanfani, mancavano già nei primi scrutini almeno una quarantina di voti del proprio partito e così, solamente al ventesimo voto, comparse il nome di Leone. Al ventitreesimo scrutinio, alla vigilia di Natale, Leone ebbe 518 voti, tra cui, secondo Pci e Psi, quelli sottobanco del Msi.

Pertini - Dopo la drammatica uccisione di Aldo Moro e l'esperienza dei governi di solidarietà nazionale, il Paese visse anche il trauma delle dimissioni anticipate del presidente Leone, sei mesi prima della scadenza del mandato. Leone se ne andò il 15 giugno del 1978. Durante le votazioni la Dc presentò Guido Gonella, il Pci Giorgio Amendola, il Psi nuovamente Nenni e i missini Luigi Condorelli. A partire dal quarto scrutinio il numero delle astensioni fu altissimo fino a che, a partire dalla dodicesima votazione, nella ricerca di un candidato che fosse gradito anche alla Dc, si raggiunse una convergenza mai registrata prima tra le forze politiche: il socialista Sandro Pertini fu eletto al sedicesimo scrutinio l'8 luglio del 1978 con 832 preferenze, la più alta nella storia delle elezioni presidenziali.

Cossiga – Nel 1985, invece, l'elezione di Francesco Cossiga fu rapidissima. Scelto come candidato ufficiale della Dc, Cossiga ricevette subito l'appoggio anche di altri partiti, tra cui il Pci e il 25 giugno raggiunse il quorum al primo colpo: 752 voti su 977 votanti. Contro di lui votarono solo il Msi e i radicali.

Scalfaro – Tutt'altra storia nel 1992. Oscar Luigi Scalfaro, allora presidente della Camera, salì al Colle in un clima di ingorgo istituzionale e il suo nome uscì solo alla fine quasi a sorpresa. A governare allora era il Caf, il patto tra Craxi, Andreotti e Forlani. In piena Tangentopoli, Cossiga si dimise il 26 aprile. Il 13 maggio, per la prima votazione, si contarono 9 candidati di bandiera su 12 partiti: la Dc indicò Giorgio De Giuseppe, il Psi Giuliano Vassalli, il Pds Nilde Iotti, la Lega Gianfranco Miglio. Dalla quarta votazione scese in campo Forlani che però fu fermato da franchi tiratori democristiani. Ad accelerare le trattative estenuanti alla vigilia della sedicesima votazione fu però un evento tragico: il 23 maggio a Capaci fu ucciso il magistrato Giovanni Falcone. Il suo omicidio fece prendere quota la soluzione istituzionale: far convergere i voti sul presidente della Camera. E così il 25 maggio Scalfaro fu eletto con 672 voti.

Ciampi – Velocissima, invece, come quella di De Nicola e di Cossiga, l'elezione di Carlo Azeglio Ciampi nel 1999. L'allora ministro del Tesoro era il candidato favorito e nel segreto dell'urna non ci fu alcuna sorpresa: al primo scrutinio Ciampi fu eletto con 707 voti, 33 in più rispetto ai 674 del quorum.

Napolitano – Situazione complessa fu invece quella che portò nel 2006 all'elezione di Giorgio Napolitano. Allora, come nel 2013, si presentò la doppia ricorrenza, elezioni politiche e scadenza del settennato al Quirinale. In aprile Romano Prodi, alla guida di una larga coalizione di centrosinistra, vinse le elezioni politiche di misura e propose coma candidato presidente della Repubblica Massimo D'Alema. Silvio Berlusconi, capo dell'opposizione, fece i nomi di Franco Marini, neopresidente del Senato, o di Mario Monti. Ma dalle trattative tra i due un nulla di fatto. E così emerse il nome di Napolitano, ex presidente della Camera, che fu eletto al quarto scrutinio con 543 voti.

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