Il segretario del Pd chiede un ulteriore passo indietro all’ex presidente della provincia di Milano indagato per presunte tangenti: “Si lasci processare. Vogliamo che non ci siano ombre e che si arrivi alla verità”
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Pd, quando la questione morale bussa alla porta. FOTO
Il turbamento è profondo ma almeno l'auspicio è che, sulla vicenda Penati, "non ci siano ombre e si arrivi alla verità". Pier Luigi Bersani chiede un ulteriore passo indietro all'ex presidente della Provincia di Milano indagato nell'inchiesta su un presunto giro di tangenti sull'area Falck: rinunci alla prescrizione e si faccia processare. Perché, al di là della vicenda giudiziaria, quello che più preoccupa il Pd è che nel tritacarne politico-mediatico finisca il partito ed il suo segretario ed è per tutelare "l'onorabilità" del Pd, non per sostituire i tribunali, che da oggi, lunedì 29 agosto, i garanti si sono messi al lavoro, acquisendo le carte dell'inchiesta in vista di una possibile convocazione di Filippo Penati.
Sono le feste democratiche, in corso in tutta Italia, il termometro che i dirigenti del Pd usano per tastare il polso di elettori e militanti. E la temperatura è alta: "Cittadini e militanti del Pd - racconta Marina Sereni - chiedono giustamente di assumere ogni iniziativa utile a tutelare l'onorabilità del nostro partito, di allontanare ogni ombra, di mettere al primo posto la domanda di etica, di buona politica, di trasparenza". Esigenze che Bersani comprende al punto di aver attivato la commissione di garanzia e di chiedere, pur nel rispetto "in uno Stato di diritto" della scelta personale, al suo ex capo della segreteria politica di rinunciare alla prescrizione. "Come partito - afferma - le prescrizioni non ci piacciono, anche se si parla di cose di 7-10 anni fa, perché vorrei che su queste vicende non ci fossero ombre e si arrivasse alla verità”.
Quanto all'espulsione di Penati dal Pd, Bersani lascia la decisione ai garanti che valuteranno in base allo statuto. Quello che va chiarito è che "noi non intendiamo interferire in nessun modo con la magistratura, perché abbiamo un profilo etico che ci interessa preservare". E come per la prescrizione, il vertice Pd è compatto nel chiedere le dimissioni di Penati anche da consigliere regionale perché, sostiene Enrico Letta, "nel partito non può esserci alcuna macchia".
Una totale presa di distanza che mira anche ad affermare l'estraneità del partito dalle vicende giudiziarie. "Se c'è un corrotto non si può tenerlo nel partito. Ma il Pd è sano, non è malato", garantisce il presidente della commissione di garanzia Luigi Berlinguer.
Ed il timore che si faccia di tutta l'erba un fascio spiega la raffica di querele, prima Walter Veltroni e poi Piero Fassino, partite nelle ultime ore all'indirizzo del capogruppo Pdl Maurizio Gasparri, convinto che Penati sia solo la "pedina" di un sistema che coinvolge tutto l'ex gruppo dirigente Pci. Contro gli attacchi, il Pd fa quadrato intorno al segretario. Che non rinuncia ad evidenziare la differenza tra il Pd e il Pdl: "Se Berlusconi avesse fatto, quando è stato indagato, i passi indietro che ha fatto Penati, a quest'ora, da qua sarebbe a Comacchio", è il paragone 'bersaniano', usato durante un comizio a Ferrara, a 60 chilometri dalla cittadina adriatica, per indicare quanti passi indietro avrebbe dovuto fare il presidente del Consiglio.
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