Minacce morte da mafia a Giuseppe Antoci, ex presidente Parco Nebrodi

Sicilia
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L’uomo si è battuto contro le truffe sui gondi Ue controllate dalla criminalità e nel 2016 sfuggì a un attentato in Sicilia. A parlare della volontà di uccidere Antoci, come risulta da intercettazioni della Dda di Messina, è un 39enne arrestato ai primi di dicembre per estorsione aggravata dal metodo mafioso

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Nuove minacce di morte della mafia contro Giuseppe Antoci, l'ex presidente del Parco dei Nebrodi e presidente onorario della fondazione "Antonino Caponnetto", che si è battuto contro le truffe sui fondi Ue controllate dalla criminalità con il suo protocollo antimafia - diventato poi legge nazionale - con cui ha smantellato quel sistema e che nel 2016 sfuggì a un attentato in Sicilia. A parlare della volontà di uccidere Antoci, come risulta da intercettazioni della Dda di Messina, è Francesco Conti Mica, 39 anni, di Tortorici, arrestato ai primi di dicembre per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Per questo motivo da qualche tempo sono state rafforzate le misure di sicurezza personali per Antoci e per i tutti i suoi familiari, con un monitoraggio per tutto il giorno da parte delle forze dell'ordine: sono state decise le zone rimozione nei luoghi ove si reca, e la strada della casa dei genitori è stata interdetta al traffico.

Giuseppe Antoci durante l'assemblea nazionale di Fronte Democratico a Roma, 8 luglio 2017. ANSA/GIORGIO ONORATI
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L’intercettazione: “Quando escono i miei parenti dal 41 bis lo ammazzano”

Nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Messina Simona Finocchiaro ed eseguita dai carabinieri, Conti Mica si qualifica, parlando con la vittima, come appartenente al clan mafioso dei Batanesi, che prende il nome da una delle borgate di Tortorici, Batana, e per intimidirla ulteriormente sottolinea che sua madre è una Bontempo Scavo, altra famiglia di mafia dei Nebrodi. L'indagato sostiene anche di essere in contatto con suoi parenti, detenuti in regime di 41 bis perché coinvolti nel processo "Nebrodi", nato anche dalle denunce di Antoci: "Comunico con persone che sono in galera", afferma, e aggiunge: "A Peppe Antoci non l'hanno voluto ammazzare, però quando escono i miei parenti dal 41 bis lo ammazzano". L'indagato ha realmente dei parenti in carcere condannati nel novembre scorso al maxi processo alla mafia dei Nebrodi che vedeva 101 imputati (91 condannati e 10 assolti).

L'indagine sull'attentato del 2016

La commissione regionale antimafia ha fatto una indagine e ha presentato una relazione sull'attentato del 2016 in cui ha scritto che a suo giudizio "restano attuali le tre ipotesi formulate in premessa: un attentato mafioso fallito, un atto puramente dimostrativo, una simulazione. Ipotesi, tutte, che vedono il dottor Antoci vittima (bersaglio della mafia nelle prime due; strumento inconsapevole di una messa in scena nella terza). Alla luce del lavoro svolto da questa Commissione corre l'obbligo di evidenziare che, delle tre ipotesi formulate, il fallito attentato mafioso con intenzioni stragiste appare la meno plausibile. L'auspicio è che su questa vicenda si torni ad indagare (con mezzi certamente ben diversi da quelli di cui dispone questa Commissione) per un debito di verità che va onorato". La fondazione Antonino Caponnetto ha espresso ad Antoci la propria solidarietà per le recenti minacce.

Un momento del Piano coordinato di controllo economico del territorio condotto il 28 e 29 luglio dalla Guardia di Finanza di Ancona nei comuni costieri della provincia: Ancona (Torrette e Portonovo), Senigallia, Falconara marittima, Sirolo, Numana-Marcelli. Duecentosei le verifiche sull'emissione di scontrini e ricevute fiscali, con 74 violazioni accertate, che vanno ad aggiungersi alle 625 rilevate nei primi sei mesi del 2012. Fra le curiosità, il caso di un barista di Osimo (Ancona) smascherato dalle Fiamme Gialle dopo aver battuto in poco tempo 11.126 scontrini a importo 'zero', per sottrarre gli incassi giornalieri dal conteggio del registratore di cassa. L'esercente ha evaso 170 mila euro e ora rischia la sospensione dell'attività, che di norma scatta alla quarta violazione rilevata nell'arco di cinque anni.
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