La Corte ha risposto alle questioni pregiudiziali che le sono state sottoposte dal Tar della Sicilia nella causa intentata dalla Sea Watch contro l'Italia
Le navi di organizzazioni umanitarie con la Sea Watch che fanno attività di ricerca e soccorso in mare possono essere controllate dallo Stato di approdo ma "provvedimenti di fermo possono essere adottati soltanto in caso di evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l'ambiente, il che deve essere dimostrato". Lo ha stabilito oggi la Corte di giustizia Ue rispondendo alle questioni pregiudiziali che le sono state sottoposte dal Tar della Sicilia nella causa intentata dalla Sea Watch contro l'Italia.
Le parole del portavoce della Commissione Ue
"Assistere chi è in difficoltà in mare è un dovere morale e contemporaneamente un obbligo giuridico, anche alla luce del fatto che la rotta nel Mediterraneo continua ad essere tra le più attive. L'Ue fornisce il suo supporto ma le operazioni di salvataggio in mare sono competenza dei Paesi membri", ha detto il portavoce della Commissione Ue, Eric Mamer, rispondendo ad una domanda sulla sentenza della Corte Ue sulla Sea Watch. "Le Ong che svolgono assistenza umanitaria in mare non devono essere criminalizzate", ha aggiunto.
La vicenda
La causa esaminata dalla Corte Ue si riferisce a quanto accaduto nell'estate del 2020 quando la Sea Watch 3 e la Sea Watch 4, dopo aver sbarcato migranti a Palermo e Porto Empedocle furono oggetto di ispezione da parte delle capitanerie di porto con la motivazione che non erano certificate per l'attività di ricerca e soccorso (Sar) in mare e avevano imbarcato un numero di persone di molto superiore a quello autorizzato. La Grande sezione della Corte Ue ha innanzitutto ricordato oggi "l'obbligo fondamentale di prestare soccorso in mare alle persone in difficoltà". Le persone salvate, indipendentemente dal tipo di unità impiegata, "non devono quindi essere conteggiate" al fine della verifica del rispetto delle autorizzazioni rilasciate. Una situazione che non può dunque giustificare di per sè il controllo. Quindi, per i giudici comunitari, lo Stato di approdo, cioè l'Italia, può disporre un'ispezione ma deve dimostrare in maniera "diretta e circostanziata" l'esistenza di indizi seri di un pericolo per la salute, la sicurezza e le condizioni di lavoro a bordo o l'ambiente. E spetta al giudice del rinvio verificare che esitano queste condizioni. Inoltre, l'Italia "non può imporre" di provare che le navi impegnate in attività di Sar dispongano di certificati diversi da quelli rilanciati dalla Stato di bandiera "o che esse rispettino tutte le prescrizioni applicabili a una diversa classificazione". "Nel caso in cui l'ispezione rilevi l'esistenza di carenze - si legge ancora in una nota della Corte - lo Stato di approdo può adottare le azioni correttive necessarie" ma devono essere "adeguate, necessarie e proporzionate. E la revoca del fermo "non può essere subordinata al fatto che la nave disponga di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera", in questo caso la Germania.
Il commento della ong
La sentenza "è una chiara vittoria per il soccorso in mare", commenta Sea Watch sostenendo che con la decisione l'Unione europea "ha dichiarato che il salvataggio in mare è un dovere e i controlli dello Stato di approdo non devono essere usati in modo arbitrario contro le Ong per trattenere le navi e impedire loro di svolgere il proprio lavoro". La Ong ricorda che le navi SeaWatch3 e SeaWatch 4 "sono state trattenute per mesi con motivazioni assurde: certificazioni mancanti e troppe persone soccorse". In base alla sentenza, sostiene però Sea Watch, "l'Italia non può pretendere una certificazione che non esiste e il numero di persone salvate non è un motivo di fermo": i controlli dello Stato di approdo "devono essere effettuati quando previsto e con valida motivazione". Secondo Sea Watch, che ci siano dei controlli sulle navi delle Ong "è un fatto positivo" poiché lo scopo è "garantire la sicurezza delle navi", ma le verifiche "arbitrarie devono finire". "La sentenza di oggi fornisce una base legale alle Ong e rappresenta una vittoria per il soccorso in mare. Le navi - conclude l'organizzazione tedesca - potranno continuare a fare ciò che sanno e che devono fare: soccorrere le persone e non rimanere bloccate in porto per decisioni arbitrarie e pretestuose".