La società del 56enne coinvolto nell’indagine ha sede legale a Milano e gestisce 13 filiali tra Palermo e provincia. Secondo la Dda l’imprenditore, pur incensurato, “sarebbe da ritenere colluso alla criminalità organizzata posto che il medesimo, seppure non organicamente inserito nell'organizzazione criminale, ha sempre operato sotto l'ala protettiva di Cosa Nostra”
Maxi confisca di beni per un ammontare di circa 150 milioni di euro a Palermo e provincia ai danni di C.L., 56 anni, imprenditore nel settore della grande distribuzione alimentare. Il provvedimento è della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo su richiesta della procura, sulla base di indagini della Direzione Distrettuale Antimafia, ed è stato eseguito dai finanzieri del comando provinciale di Palermo.
La società di supermercati
La confisca riguarda la società Gamac Group srl, con sede legale a Milano, che gestisce 13 supermercati tra Palermo e provincia (Bagheria, Carini, Bolognetta, San Cipirello e Termini Imerese) e che era già stata affidata quando era scattato il sequestro ad un amministratore giudiziario, nominato dal tribunale, con il compito di garantire la continuità aziendale e mantenere i livelli occupazionali per preservare i diritti dei lavoratori, dei fornitori e della stessa utenza.
La confisca
Oltre alla confisca delle aziende e delle quote sociali della Gamac Group srl sono stati affidati a un amministratore giudiziario 7 immobili di cui una villa in zona Pagliarelli a Palermo; 61 rapporti bancari e 5 polizze assicurative; 16 autovetture, tra cui 2 Porsche Macan.
Le indagini
Secondo le indagini della Dda sulla base degli accertamenti svolti dai militari del Gico del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, C.L., pur essendo incensurato, "sarebbe da ritenere - dicono gli investigatori - un imprenditore colluso alla criminalità organizzata, posto che il medesimo, seppure non organicamente inserito nell'organizzazione criminale, ha sempre operato sotto l'ala protettiva di Cosa Nostra". Alla base delle indagini si sono anche le dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia, come Sergio Flamia, e uno degli ultimi pentiti, Filippo Bisconti, l'ex capo della famiglia di Belmonte Mezzagno.
Il filone su Provenzano
Attorno alle indagini su Provenzano c'è il capitolo più misterioso di tutta questa storia: è ancora Flamia a raccontare che un ex poliziotto della sezione Catturandi della squadra mobile di Palermo avrebbe passato notizie sulle inchieste a C.L., poi finite ai boss di Bagheria. "La moglie del poliziotto lavorava in uno dei supermercati", ha aggiunto il pentito.
La posizione dell’imprenditore
Una complessa ricostruzione ha consentito di evidenziare strutturati contatti con la famiglia mafiosa di Bagheria, e far emergere i vantaggi "imprenditoriali" di cui ha potuto beneficiare nel tempo. L'imprenditore, secondo quanto accertato dalle indagini, a Bagheria, non avrebbe mai pagato il pizzo. E grazie all'aiuto dei mafiosi bagheresi non avrebbe avuto aumenti sulla "tassa mafiosa" da versare in città per ogni punto vendita. Per il tribunale, non c'è prova che soldi di Cosa Nostra siano finiti nelle società di C.L., ma l'imprenditore è accusato di essersi rivolto ai boss anche per liberarsi di alcuni soci e sbaragliare la concorrenza. Così il 56enne sarebbe riuscito a espandersi economicamente nel settore, acquisendo ulteriori attività commerciali. Scoraggiare la concorrenza anche con la violenza. Nel 2005, avrebbe fatto addirittura incendiare un supermercato di Bagheria che rischiava di portargli via clienti.
“Soggetto socialmente pericoloso”
Per l'accusa, l'imprenditore è "soggetto socialmente pericoloso", avrebbe anche assunto parenti dei mafiosi, "quale riconoscimento - è l'accusa - del loro determinante intervento in momenti cruciali nel percorso di espansione commerciale".