Giudice Rosario Livatino: il 9 maggio la beatificazione ad Agrigento

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Il magistrato fu ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. La cerimonia si svolgerà a partire dalle ore 10 nella Cattedrale di Agrigento domenica prossima e sarà presieduta dal cardinale Marcello Semeraro

Domenica prossima, nella Cattedrale di Agrigento, sarà proclamato beato il giudice Rosario Livatino (CHI ERA), ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Il 9 maggio è una data scelta in occasione di un’altra ricorrenza nella valle dei templi di Agrigento. Nel 1993, in quel luogo, Giovanni Paolo II lanciò la sua invettiva contro i mafiosi: "Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può l'uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di Cristo, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio"

La beatificazione

Nella giornata di domenica 9 maggio il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, presiederà alle ore 10 la celebrazione nel duomo di Agrigento.

Il decreto della Congregazione delle Cause dei Santi

Il delitto avvenne anche "in odio alla fede" del magistrato - come hanno stabilito le autorità vaticane - per cui, riconosciuto il martirio, il giudice Livatino, cattolico praticante, sarà proclamato beato. Il decreto della Congregazione delle Cause dei Santi, avuta l'autorizzazione di Papa Francesco, è stato pubblicato il 22 dicembre dello scorso anno. “A dare mandato per l'esecuzione furono i gruppi mafiosi di Palma di Montechiaro e Canicattì a colpire il servo di Dio”, si legge nel documento. La causa – prosegue il testo - va cercata nella "sua nota dirittura morale per quanto riguarda l'esercizio della giustizia, radicata nella fede". "Dai persecutori", proseguono i documenti ecclesiastici, "era ritenuto inavvicinabile, irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante". Nel decreto è inolstre scritto che Livatino era ritenuto inavvicinabile dei suoi persecutori, "irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante. Dalle testimonianze, anche del mandante dell'omicidio, e dai documenti processuali, emerge che l'avversione nei suoi confronti era inequivocabilmente riconducibile all'odium fidei (odio della fede)", al punto che, inizialmente, i mandanti avevano pianificato l'agguato "dinanzi alla chiesa in cui quotidianamente il magistrato faceva la visita al Santissimo Sacramento".

Le parole di Papa Francesco

Papa Francesco, parlando il 29 novembre 2019 ai componenti del Centro Studi "Rosario Livatino", ha definito il magistrato "un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi; e di come l'obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l'obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare e applicare la legge". 

L'omicidio

Livatino - "il giudice ragazzino", come è stato ribattezzato dopo la morte - fu ucciso lungo la statale che ogni mattina percorreva in auto da Canicattì - dove viveva con i genitori - al tribunale di Agrigento, dove lavorava e si occupava prevalentemente di sequestri e confische di beni sottratti ai mafiosi. Aveva rifiutato la scorta. Dopo l'omicidio di Livatino, gli investigatori impiegarono mesi per decodificare l'acronimo "S.T.D.", riportato su appunti, documenti e quaderni del magistrato e inizialmente scambiato per un codice segreto. Alla fine si scoprì che si trattava di un constante affidamento che Livatino faceva a Dio: le tre lettere stavano per "Sub Tutela Dei" (sotto la protezione del Signore").

L’incontro di Papa Giovanni Paolo II coi genitori del giudice

Papa Giovanni Paolo II incontrò i due genitori del giudice. La madre non ebbe la forza di dire nulla, mentre il padre ripeteva "ce l'hanno ammazzato". La professoressa di latino del liceo citò Tertulliano: "Dal sangue dei martiri il seme di uomini nuovi". Il pontefice aggiunse che Rosario Livatino è "uno dei martiri della giustizia e indirettamente della fede".

Le parole e gli scritti di Livatino

Di Livatino resta anche una impronta di forte attualità di impegno civile riguardo, ad esempio, ad alcune riflessioni su chi è chiamato ad amministrare la giustizia e sul dovere di non piegare la legge ad interesse di parte. E ancora del rapporto tra magistrati e politica. Parlando nel 1984 ad un convegno sul ruolo del giudice, disse: "Sarebbe sommamente opportuno che i giudici rinunciassero a partecipare alle competizioni elettorali in veste di candidato o, qualora ritengano che il seggio in Parlamento superi di molto in prestigio, potere ed importanza l'ufficio del giudice, effettuassero una irrevocabile scelta, bruciandosi tutti i vascelli alle spalle, con le dimissioni definitive dall'ordine giudiziario". In un altro scritto del giudice, del 1986, si legge: "Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l'uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio".

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