In Evidenza
Altre sezioni
altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Mafia, colpo a clan di Messina Denaro: fermi nel Trapanese

Sicilia
©Ansa

Le accuse ipotizzate nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso

Condividi:

Blitz della polizia nel Trapanese nei confronti di una serie di presunti mafiosi molti dei quali vicini al numero uno di Cosa Nostra, il boss Matteo Messina Denaro. Sono 13 i provvedimenti di fermo emessi dai magistrati della Dda di Palermo che centinaia di agenti delle squadre mobili di Palermo e Trapani hanno eseguito in queste ore. Venti gli indagati tra i quali anche un sindaco, accusato di corruzione elettorale ed estorsione, e diversi imprenditori. Da quanto appreso, si tratta di Antonino Accardo. Dalle intercettazioni è emerso che avrebbe pagato 50 euro a voto per le elezioni dell'anno scorso a sindaco del comune di Calatafimi Segesta (Trapani).

Le indagini

Nell'indagine c'è anche Salvatore Barone, ex presidente del consiglio di amministrazione ed ex direttore dell'azienda per i trasporti Atm di Trapani. Barone, che è stato fermato con l'accusa di associazione mafiosa, è anche presidente della cantina sociale Kaggera di Calatafimi e secondo gli inquirenti era al servizio del capo della famiglia mafiosa locale, Nicolò Pidone. Pidone, direttamente o attraverso il proprio uomo di fiducia, Gaetano Placenza, allevatore messo ai vertici della società, decideva chi assumere scegliendo il personale in modo da aiutare le famiglie dei detenuti mafiosi e disponeva che a esponenti di Cosa Nostra venissero dati soldi. Tra le assunzioni più importanti, volte a favorire i clan, figura quelle di Veronica Musso, figlia del boss Calogero Musso, ergastolano, ex capo della "famiglia" di Vita. Barone, inoltre, avrebbe procurato voti al sindaco di Calatafimi Segesta, Antonino Accardo. Inoltre, Pidone organizzava summit di mafia in una dependance fatiscente vicina alla sua masseria. Tra gli indagati anche altri condannati per mafia come Rosario Leo, pregiudicato che vive a Marsala, e cugino di Stefano Leo, molto vicino al boss di Mazara del Vallo Vito Gondola, poi morto, e a Sergio Giglio, coinvolto nell'inchiesta sui favoreggiatori del capomafia Matteo Messina Denaro. 

Il clan

Il clan controllava il territorio attraverso l'esecuzione di 'inchieste' per ricostruire episodi criminosi avvenuti in zona e non "autorizzati" e interveniva con atti intimidatori nei confronti di chi collaborava con la giustizia, secondo gli inquirenti. In quest'ultimo ambito si inquadra l'incendio dell'auto dell'imprenditore Antonino Caprarotta, voluto da Pidone e realizzato insieme a Giuseppe Aceste e Antonino e Giuseppe Fanara. Caprarotta aveva denunciato l'imprenditore mafioso Francesco Isca e altri soggetti implicati nella vicenda della gestione illecita dei parcheggi del parco archeologico di Calatafimi-Segesta. Tra i fermati anche Giuseppe Gennaro, altro esponente della famiglia mafiosa di Calatafimi, accusato, oltre che di associazione mafiosa, anche di aver rubato un trattore agricolo, nell'interesse del clan insieme a Francesco Domingo, Sebastiano Stabile e Salvatore Mercadante. In cella anche il 37enne Ludovico Chiapponello, indagato per aver favorito l'associazione mafiosa bonificando dalle microspie la depandance di Pidone. Indagato infine un appartenente alla polizia penitenziaria, a cui è contestato il reato di rivelazione di segreto d'ufficio commesso per agevolare Cosa Nostra. Dall'inchiesta è emerso che il clan aveva la disponibilità di armi. Il fermo è motivato dall'intenzione di alcuni indagati di darsi alla latitanza e al progetto di pesanti ritorsioni verso uno dei mafiosi che sarebbe entrato in conflitto col capo della famiglia di Calatafimi.

 

Le accuse

Le accuse ipotizzate nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. Le manette sono scattate per alcuni imprenditori e per un dirigente di un'azienda pubblica di Trapani che è anche presidente di una cantina sociale mentre il primo cittadino risulta solo indagato. Perquisite le campagne del trapanese per la ricerca di armi.