Mafia nigeriana, 28 fermati in provincia di Catania

Sicilia

Gli investigatori hanno rintracciato il capo dell'organizzazione, i suoi responsabili di zona e altri affiliati nel resto della penisola. Nel corso delle indagini è stato possibile documentare diversi summit svolti tra i vertici dell'organizzazione

A Catania la polizia ha eseguito un decreto di fermo di indiziato di delitto nei confronti di 28 persone, prevalentemente nigeriane, appartenenti alla confraternita cultista dei "Maphite" , organizzazione criminale transnazionale con sede in Nigeria e basi nei paesi europei e in diverse regioni italiane.

Decapitata la cellula operativa

In particolare è stata decapitata la cellula operativa siciliana "Family Light house of Sicily". Gli investigatori hanno rintracciato il capo dell'organizzazione, i suoi responsabili di zona e altri affiliati nel resto della penisola. Nel corso delle indagini è stato possibile documentare diversi summit svolti tra i vertici dell'organizzazione. 

L'organizzazione

L'inchiesta è nata dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che apparteneva ad un'altra associazione "The Supreme Eiye Confraternity (Sec)". Le indagini, durate poco più di un anno, coordinate dalla procura distrettuale etnea e condotte dalla squadra mobile si sono avvalse delle intercettazioni telefoniche su un centinaio di utenze. Grazie alla collaborazione di interpreti esperti si è ricostruita l'organizzazione mafiosa fortemente gerarchica che consentiva l'ingresso solo dopo un rito di affiliazione. Gli appartenenti al Cult "Maphiste" della famiglia Lighthouse of Sicily controllavano un importante traffico di stupefacenti. Le riunioni segrete sono proseguite anche nel periodo del lockdown durante l'emergenza Covid. L'organizzazione che si era radicata in Sicilia nel 2016 poteva contare su ramificazioni di altri affiliati in diverse parti d'Europa. A novembre del 2016 ci fu uno scontro tra i massimi esponenti dei "Maphiste" siciliani e i massimi esponenti del "Cult Black Axe", determinato dall'esigenza delle due organizzazioni rivali di affermare il proprio predominio sul territorio. L'articolazione siciliana dei "Maphiste" non risultava tuttavia presente solo a Catania, ma in diverse zone della Regione, precisamente a Caltanissetta, Palermo e Messina.

Il traffico di droga

I due capi dei "Maphite" gestivano il mercato del narcotraffico cercando di non sporcarsi le mani anche attraverso una "contaminazione" etnica. Mentre in passato il narcotraffico gestito dai gruppi cultisti escludeva la presenza di altre nazionalità, lasciando il monopolio a fornitori e spacciatori nigeriani, con qualche occasionale intrusione di soggetti ghanesi o gambiani, i due nuovi capi Volte e Babanè avevano aperto nuovi canali anche con acquirenti italiani. I due boss riuscivano così ad assicurarsi partite di droga a costi concorrenziali sul mercato illecito che venivano recapitate direttamente da altre regioni d'Italia, personalmente o attraverso una serie di corrieri pronti a trasportare la droga in cambio di pochi euro. Gli indagati, infine, non risultavano impegnati direttamente nella gestione di una piazza di spaccio, ma si collocavano ad un livello più elevato della filiera del narcotraffico. Volte si rapportava solo ai suoi fornitori nigeriani e ai suoi committenti italiani ai quali assicurava forniture di eroina che gli stessi poi rivendevano a terzi; Babanè, dalla sua abitazione, controllava il traffico di stupefacenti gestito da nigeriani in territorio nisseno, percependo somme di denaro dai connazionali che spacciavano in strada.

Le gerarchie

Per tutti era il "Don". Il capo dell'articolazione in Sicilia della mafia nigeriana, Ede Osagiede detto Babanè, veniva chiamato proprio con l'appellativo dei vecchi padrini di Cosa Nostra, al cui nome veniva sempre anteposto la qualifica di "Don". Se la Sicilia era il regno della famiglia Lighthouse of Sicily governata da Babanè, Caltanissetta era sicuramente la sua reggia, potendo contare su uomini e donne, alle sue ossequiose dipendenze, impiegati nello svolgimento di incombenze di qualsiasi tipo, dall'acquisto di generi alimentari al trasporto di stupefacente). Allo stesso modo Godwin Evbobuin, detto Volte, leader indiscusso a Catania, era dotato - sostengono gli investigatori - di un particolare ecclettismo criminale. Pur avendo una rilevante esperienza nel settore degli stupefacenti era capace di dedicarsi anche ai falsi, alla ricettazione di apparecchi cellulari, ai recuperi di crediti utilizzando il timore ingenerato nei connazionali dalla sua carica cultista, fino alla fornitura di false documentazioni ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per connazionali.

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