Borsellino, l’ex pm Di Matteo: “Non fu strage solo di mafia”

Sicilia

Il magistrato, ora componente del Csm, ha aggiunto: "Il depistaggio cominciò con la scomparsa dell'agenda rossa" del giudice ucciso il 19 luglio 1992. "Non vedo la volontà di dare un contributo", ha detto Fiammetta Borsellino a margine dell'udienza

"Non credo che la strage di via D'Amelio sia solo di mafia".  Lo ha detto Nino Di Matteo, ex pm del pool che indagò sulla strage, deponendo al processo, in corso a Caltanissetta, sul depistaggio delle indagini sull'attentato. Imputati di calunnia aggravata i poliziotti Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo, che facevano parte della squadra di investigatori che condusse l'inchiesta. Secondo l'accusa, grazie alle dichiarazioni di alcuni falsi pentiti - tra cui Vincenzo Scarantino - avrebbero costruito una versione fasulla accusando persone che non avrebbero avuto un ruolo nell'attentato.
Per il depistaggio sono indagati a Messina anche due pm dell'epoca: Anna Palma e Carmelo Petralia. Anche loro, come i poliziotti, rispondono di calunnia aggravata.

Fiammetta Borsellino: "Non vedo la volontà di dare un contributo"

Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso il 19 luglio 1992, ha commentato duramente a margine dell'udienza la deposizione dell'ex pm Nino Di Matteo. "Penso ci sia una enorme difficoltà a fare emergere la verità. Non ho constatato da parte di nessuno la volontà di dare un contributo, al di là la delle proprie discolpe, a capire cosa è successo". "Penso che nessuno di questi magistrati abbia capito niente di mio padre", ha aggiunto. 
"Sembra che quello che riguarda Scarantino e il depistaggio delle indagini sia avvenuto per virtù dello spirito santo. Si tende a stigmatizzare la vicenda Scarantino come un piccolo segmento di una questione più grande. Io non penso che quello di Scarantino sia un segmento così piccolo", ha sottolineato Borsellino. "Ci si riempie la bocca con la parola pool ma io di pool non ne ho visto nemmeno l'ombra - ha aggiunto - perché quando ai magistrati si chiede come mai non sapessero dei colloqui investigativi, della mancata audizione di Giammanco, cadono dalle nuvole".

La scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino

Di Matteo, ora componente del Csm, ha aggiunto: "Il depistaggio cominciò con la scomparsa dell'agenda rossa" di Borsellino. "E le indagini sul diario del magistrato - ha rivendicato Di Matteo - partirono già il 20 luglio del 1992, il giorno dopo l'attentato". "E' chiaro che l'agenda rossa di Paolo Borsellino è sparita e non può essere sparita per mano di Graviano. Il mio impegno era finalizzato a capire per mano di chi fosse sparita. Abbiamo fatto il possibile per accertarlo, anche scontrandoci con reticenze bestiali sulla presenza di esponenti delle istituzioni nel luogo dell'attentato. Da qui sarei voluto ripartire per tante altre cose". 

Gli interrogatori a Vincenzo Scarantino

"Sono certo che né io, né altri miei colleghi parlammo con Scarantino nelle pause degli interrogatori di fatti relativi alle indagini". Di Matteo, rispondendo alle domande dell'aggiunto Gabriele Paci, ha ricordato i giorni in cui per la prima volta, nel 1994, sentì Scarantino a Genova. "Non ci furono pause durante quegli interrogatori - ha spiegato - e lo ricordo bene perché a un certo punto era necessario per Scarantino rifocillarsi e io non gli consentii di uscire chiedendo di portare dei panini nella stanza in cui eravamo. Ci mettemmo in due angoli diversi e mangiammo e mentre eravamo lì pensavo: 'sto mangiando nella stessa stanza con chi ha detto di aver partecipato a un fatto per cui io ho pianto amaramente'".

Un "collaboratore problematico"

"Ebbi il sospetto che l'inverosimile progressione nelle dichiarazioni di Scarantino fosse dovuta alla sua intenzione di essere smentito. Era un collaboratore problematico, la cui attendibilità non era scontata e l'attività di intercettazione che iniziammo era dovuta proprio all'esigenza di capire se poteva essere oggetto di pressioni e contaminazioni visto che aveva accusato un parente", ha detto ancora l'ex pm Di Matteo rispondendo alle domande dell'accusa su contatti tra i pentiti dell'epoca e la Procura. "Vorrei far presente, però, che la vicenda Scarantino era un tassello di una attività molto più complessa che riguardava le indagini su Bruno Contrada, quelle successive su Dell'Utri e Berlusconi. Tutte cose che poi hanno pesato e pesano sulla mia vita anche familiare", ha aggiunto. "Noi Scarantino lo abbiamo usato in pochissime cose - ha sottolineato -. I dubbi c'erano, si dibatteva, anche a prescindere dalla nota della Boccassini. Lo intercettammo proprio per quello".

Le indagini sul Sisde

"Indagai a fondo sulla presenza di Bruno Contrada in via D'Amelio dopo la strage - ha continuato Di Matteo parlando del numero due del Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), in seguito condannato per concorso esterno in associazione mafiosa -. Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Elmo che ci aveva detto di averlo visto allontanarsi dal teatro dell'attentato con dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende". "Vedendo quegli atti - ha detto ancora Di Matteo - mi accorsi che c'era stato un ufficiale del Ros, Sinico, che era andato in procura a Palermo e aveva riferito ad alcuni magistrati di aver saputo che la prima volante accorsa dopo l'esplosione aveva constatato la presenza di Contrada. I poliziotti avevano fatto una relazione che poi era stata strappata in questura. I colleghi avevano preso a verbale Sinico e mandato tutto a Caltanissetta, dove Sinico si era rifiutato di rivelare la sua fonte". "Si avviò una indagine molto spinta sui Servizi Segreti - ha spiegato Di Matteo -. Io stavo per chiedere il rinvio a giudizio del carabiniere che, poi, si decise a fare il nome della sua fonte che indicò in Roberto Di Legami, funzionario di polizia. Di Legami negò tutto. Rinviato a giudizio fu poi assolto", ha concluso l'ex pm. Inoltre, ha sottolineato il magistrato, "Siccome l'ipotesi era che soggetti legati ai servizi avessero partecipato alla strage di via D'Amelio, avrei respinto di certo un eventuale loro tentativo di contribuire all'indagine. Noi non ci siamo fatti aiutare dai Servizi, li abbiamo indagati". 

"L'attentato a Borsellino non era previsto"

"Sull'iscrizione di Berlusconi e Dell'Utri per concorso in strage ci fu una riunione di Dda imbarazzante. L'allora Procuratore Tinebra dopo una lunga discussione disse: 'Voi ve ne assumete la responsabilità, ma io non sottoscrivo nessun atto'", ha raccontato l'ex pm. "Noi avevamo chiaro che era intervenuto qualcosa che aveva fatto accelerare i tempi della strage di via D'Amelio, perché dopo Capaci non era previsto l'attentato a Borsellino. Ma era intervenuto qualcosa che aveva indotto Riina a dire che Borsellino andava eliminato subito", ha aggiunto.

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