Strage via D’amelio, Antimafia: “Reticenza tra toghe e istituzioni”

Sicilia
Foto di archivio (ANSA)

La commissione regionale Antimafia, guidata da Claudio Fava, ha depositato la relazione sul depistaggio nell’inchiesta sulla strage in cui morì il giudice Paolo Borsellino 

“È certo il contributo di reticenza che offrirono a garanzia del depistaggio - consapevolmente o inconsapevolmente - non pochi soggetti tra i ranghi della magistratura, delle forze di polizia e delle istituzioni nelle loro funzioni apicali''. È questo un passaggio che si legge nella relazione della commisione regionale Antimafia sul depistaggio nell'inchiesta sulla strage di via D'Amelio a Palermo, del 19 luglio 1992, in cui morì il giudice Paolo Borsellino. Secondo l'antimafia regionale, guidata da Claudio Fava, si va ''ben oltre i nomi noti dei tre poliziotti, imputati nel processo in corso a Caltanissetta, e dei due uomini dell'indagine (oggi scomparsi), e cioè il procuratore capo Tinebra e il capo del gruppo d'indagine 'Falcone-Borsellino', Arnaldo La Barbera''.

Antimafia: “Resta vuoto di verità”

"Resta un vuoto di verità su chi ebbe la regia complessiva della strage e del suo successivo depistaggio. E quale sia stato - nel comportamento di molti - il labilissimo confine fra colpa e dolo, svogliatezza e intenzione, distrazione e complicità''. Lo scrive la commissione regionale antimafia alla fine delle conclusioni dell'inchiesta sul depistaggio nella strage di via D'Amelio, dove si legge ancora: ''Se le domande che questa Commissione ha voluto raccogliere, per poi rivolgere a chi era in condizione o aveva il dovere di rispondere, fossero state formulate anche in passato, non avremmo dovuto attendere 26 anni per avere contezza e certezza di questo depistaggio''.

Alcuni passaggi della relazione

"Alla luce delle considerazioni svolte, ciò che inquieta non è tanto la riconosciuta falsità delle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, suscettibili di essere disvelate, bensì l'apparizione del personaggio in quanto tale". È un altro dei passaggi della relazione. "La sua immediata irruzione nel processo - si legge ancora - probabilmente doveva servire, con le sue propalazioni, a escludere ogni sospetto che mandanti potessero essere anche soggetti estranei alla mafia. Così venivano appagate le ansie e le aspettative di verità della gente per la pronta scoperta di mandanti ed esecutori, tutti mafiosi, e si esorcizzava l'incubo di indicibili partecipazioni diverse e occulte". "Il depistaggio, con al centro il 'pentimento' di Scarantino è stato possibile per un concorso di responsabilità; è figlio di omissioni, reticenze e forzature procedurali e processuali. Se qualcuno avesse scelto di non tacere, avremmo capito molto prima che il depistaggio era in corso", ha aggiunto Fava.

Le parole della figlia di Paolo Borsellino

"Mio padre è stato lasciato solo da vivo e da morto". Così, Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, a margine della conferenza stampa dell'Antimafia regionale tenutasi a Palermo. "Nel depistaggio - ha aggiunto - c'è stata una responsabilità collettiva dei magistrati che hanno avuto comportamenti 'contra legem' e che a oggi non sono stati mai perseguiti né sul piano disciplinare né su quello giudiziario. C'è chi ha lavorato nel periodo del depistaggio e dimostrato di non aver capito nulla di mio padre". 

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