L'11 luglio del 1995 le truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic fecero il loro ingresso nella città, dichiarata "zona protetta" dall'Onu nel 1993 e sotto la tutela di un contingente olandese di caschi blu. Oltre 8mila persone di religione musulmana furono oggetto di una caccia all'uomo e uccise nei boschi circostanti. La comunità internazionale fu accusata di non aver fatto nulla per impedirlo. La strage venne poi riconosciuta come atto di genocidio
Sono passati 25 anni dal massacro nella città bosniaca di Srebrenica. L’11 luglio del 1995 in cinque giorni furono uccise oltre 8mila persone di religione musulmana, secondo la ricostruzione delle sentenze del Tribunale dell'Aja e del Tribunale di Sarajevo per crimini di guerra. La strage successivamente fu riconosciuta come un atto di genocidio. Assediata per tre anni durante la guerra nella ex Jugoslavia, l'11 luglio 1995 Srebrenica, dopo un mese di incessanti bombardamenti, fu conquistata dalle truppe del generale Ratko Mladic, comandante militare dei serbi di Bosnia, che perpetrarono il massacro nella città, che era stata dichiarata nel 1993 ''area protetta'' dall'Onu e in quel momento sotto la tutela di un contingente olandese dell'Unprofor, le forze di intervento delle Nazioni Unite in Jugoslavia. Mladic fu arrestato nel maggio 2011 dalla giustizia internazionale e nel 2017, dopo il processo al Tribunale penale internazionale dell'Aja, è stato condannato all’ergastolo per genocidio e crimini di guerra e contro l'umanità. Era accusato oltre che per il suo ruolo nel massacro di Srebrenica, anche delle atrocità commesse durante l'assedio di tre anni a Sarajevo.
L'ingresso in città del generale Mladic
Il giorno precedente il massacro, il 10 luglio, a causa dei bombardamenti, circa 10mila musulmani, soprattutto donne, vecchi e bambini, avevano cercato rifugio a Potocari, nella base dei caschi blu olandesi, mentre circa 10-15 mila uomini di tutte le età si erano incamminati attraverso i boschi in direzione di Tuzla, sotto il controllo delle forze governative. Alcuni erano civili, altri militari dei quali solo un terzo armati. La Nato cominciò a bombardare i carri armati serbi che avanzavano verso la città ma, dopo le minacce serbe di attaccare i caschi blu olandesi, i bombardamenti cessarono. L'11 luglio Ratko Mladic entrò in una Srebrenica deserta e la sera di quel giorno a Potocari c'erano già 20-25 mila rifugiati. Alcune migliaia riuscirono a entrare nel recinto della base olandese, altri si accamparono fuori.
Le deportazioni e le esecuzioni di massa
Il 12 luglio i soldati di Mladic cominciarono a dividere gli uomini dai 15 ai 65 anni, da donne, bambini e anziani. Gli uomini vennero uccisi o portati in varie strutture nell'area di Bratunac. Tutte le donne, i bambini piccoli e gli anziani vennero invece deportati con dei pullman verso Tuzla entro la sera del 13 luglio. Fra il 12 e il 23 luglio, una parte degli uomini e dei ragazzi che si erano avviati verso Tuzla attraverso i boschi vennero fatti prigionieri in varie località. Alcuni si arresero: si stima che nel pomeriggio del 13 luglio gli uomini di Mladic fecero oltre 6mila prigionieri musulmani. Le prime esecuzioni di massa cominciarono nel pomeriggio del 13 con la fucilazione di 150 musulmani a Cerska, e si conclusero il 16 luglio, quando cominciarono gli scavi delle fosse comuni. Un mese e mezzo dopo, militari e poliziotti serbo-bosniaci per occultare le prove del massacro esumarono e riseppellirono i corpi delle vittime in altre località della zona. Sono 8.372, secondo il Srebrenica Memorial istituito dal governo bosniaco, le vittime totali del genocidio.
Le accuse all'Onu e al contingente olandese
Successivamente l'Onu, e in special modo il contingente olandese, verrà accusato di aver fatto troppo poco per evitare il massacro. I caschi blu e le truppe olandesi non intervennero - la posizione ufficiale è che le truppe Onu fossero scarsamente armate e non potessero far fronte da sole alle forze di Mladic - e affermarono in seguito di aver chiesto l'intervento degli aerei Nato. Un blitz ci fu quell'11 luglio, ma si trattò in definitiva di una beffa atroce. “Abbiamo distrutto alcuni carri armati serbi – disse il comando dell'Alleanza – tutti gli aerei sono tornati indenni alla base”. Ben poco per fermare la furia omicida delle truppe di Mladic. Un intervento più deciso per impedire il massacro fu bloccato dall'allora comandante dei caschi blu, il generale Bernard Janvier, e dall'inviato speciale dell'Onu Yasushi Akashi. Nell'ottobre del 1999, l'allora segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan ammise le responsabilità: “La tragedia di Srebrenica perseguiterà per sempre la nostra storia”.
La condanna parziale allo Stato olandese
Nel 2017, la Corte d'appello dell'Aja ha stabilito, confermando una sentenza di primo grado del 2014, che lo Stato olandese avrebbe avuto una parziale responsabilità per l'accaduto, per quanto riguarda la sorte di 300 uomini che si erano rifugiati nel compound dei Caschi Blu olandesi e che furono consegnati benché gli stessi militari "sapessero o avrebbero dovuto sapere che sarebbero così stati soggetti al rischio reale di essere torturati o sottoposti a esecuzione".
Ancora resti da identificare
Negli anni successivi al massacro, i corpi sono stati riesumati e le vittime identificate attraverso il test del Dna. A oggi sono stati identificati i resti di 6.993 persone secondo la Commissione internazionale sulle persone scomparse. I resti sono sepolti nel Memoriale e cimitero di Potocari, alle porte di Srebrenica. Ma ancora molte ossa sono disperse nei boschi e nelle fosse comuni della Bosnia orientale. Ogni anno le donne tornano sul luogo del massacro a piangere i loro morti.
Le condanne
Il Tribunale penale internazionale dell'Aja ha incriminato in totale 21 persone per quanto commesso a Srebrenica, riconoscendo per molti di essi la fattispecie di "genocidio". Nel 2007 la Corte internazionale di giustizia ha stabilito, in un processo intentato dalla Bosnia ed Erzegovina contro la Serbia e Montenegro, che il massacro di Srebrenica, essendo stato commesso con lo specifico intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi (i bosniaci di religione musulmana), costituisce un "genocidio". Altre condanne sono state poi comminate dai tribunali nei Balcani nei confronti di serbi bosniaci, tra cui quella al leader politico Radovan Karadzic, e il suo comandante militare, Ratko Mladic. La Serbia non fu ritenuta responsabile di genocidio perché "non vi sono prove di un ordine inviato esplicitamente da Belgrado" né di complicità, e perché "non vi sono prove che l'intenzione di commettere atto di genocidio fosse stata portata all'attenzione delle autorità di Belgrado", anche se viene riconosciuto che Radovan Karadžić e Ratko Mladic dipendessero da Belgrado.