Anticonformista, provocatorio, crudo, lo scrittore californiano se ne è andato il 9 marzo 1994, all’età di 73 anni. Con il suo stile fluido ed essenziale ha reinterpretato il genere noir e pulp del Novecento
Frasi corte, nette, provocatorie, esplicite fino al limite del lecito. Con il suo stile anticonformista Charles Bukowski ha segnato un’epoca della letteratura mondiale. Ancora oggi il maestro del “realismo sporco” è il modello a cui si ispirano numerosi scrittori e registi. All’età di 73 anni, il 9 marzo del 1994, il genio che ha reinventato a suo modo il genere noir, moriva a causa di una leucemia fulminante a San Pedro, in California. Aveva appena finito di scrivere il suo ultimo romanzo: Pulp.
"Henry Charles Bukowski - Hank - Don’t try - 1920- 1994"
Sulla lapide dello scrittore è disegnato un pugile con la scritta “Henry Charles Bukowski - Hank - Don’t try - 1920 - 1994”. È lo stesso artista, in una lettera, ad aver spiegato cosa significa quel “Don’t try”: Non provare. Alla domanda su come si fa a scrivere, Bukowski aveva risposto: “Non lo fai, gli dissi. Non provi. È molto importante: non provare, né per le Cadillac, né per la creazione o per l'immortalità. Aspetti, e se non succede niente, aspetti ancora un po'. È come un insetto in cima al muro. Aspetti che venga verso di te. Quando si avvicina abbastanza, lo raggiungi, lo schiacci e lo uccidi. O se ti piace il suo aspetto ne fai un animale domestico”.
Lo stile del “ragazzo cattivo”
La massima sulla lapide racconta anche l’atteggiamento che l’autore aveva nel suo quotidiano, fatto di alcol, donne, gatti e scommesse sulle corse dei cavalli. Questo era il mondo di Charles “Hank” Bukowski, descritto nei suoi testi e vissuto in prima persona, perché la vita del poeta e la sua produzione letteraria non possono essere separati. Da qui è nato quell’ambiente torbido, crudo, composto di rapporti frenetici, sesso, vino e six pack rings di birra, nel quale si animano personaggi grotteschi, prostitute, individui alienati e scrittori solitari pseudo-autobiografici. Con un profluvio di parole a cascata e maiuscole, come in Taccuino di un vecchio sporcaccione, o con brevi frasi spezzate da punti, come in Storie di ordinaria follia, lo scrittore ha raccontato la sua America, fatta di sottoscala, vicoli pieni d’immondizia, locali sudici per gli avventori notturni.
Le origini e il rapporto con l’alcol
Heinrick Karl Bukowski Jr. era nato ad Andernach, in Germania, da padre statunitense di origini polacche e tedesche, sergente della Third United States Army, e da madre tedesca, Katharina Fett. Aveva due anni quando la famiglia si trasferì negli Stati Uniti, prima a Baltimora, nel Maryland, poi, dal 1930, alla periferia di Los Angeles, in California. Durante l’infanzia lo scrittore subì le violenze del padre, uomo aggressivo e spesso disoccupato, e soffrì di solitudine e timidezza. A 14 anni iniziò la relazione più lunga della sua vita: quella con l’alcol. Il primo bicchiere di vino insieme a un amico. “Questo mi aiuterà per tanto tempo”, scrisse in seguito. Il rapporto con l’alcol è descritto in quasi tutti i suoi testi ed è rappresentato chiaramente in una frase del romanzo Donne: “Se succede qualcosa di brutto, si beve per dimenticare. Se succede qualcosa di bello, si beve per festeggiare. E se non succede niente, si beve per far succedere qualcosa”.
Da postino a scrittore
Nel 1944 fu arrestato con l’accusa di renitenza alla leva e restò in prigione per 17 giorni, ma infine fu dichiarato non adatto al servizio militare. Nello stesso anno, pubblicò il suo primo racconto, Aftermath of a Lengthy Rejection Slip, che non ebbe molta fortuna e per lungo tempo smise di scrivere. Il periodo è considerato dall’autore come “una sbronza di dieci anni” durante la quale Bukowski lavorò sporadicamente, vivendo in pensioni economiche, e in cui si formò con le esperienze che racconterà successivamente nelle sue opere. Nei primi anni ’50 fu impiegato come postino, attività che descriverà in Post Office, il romanzo che gli aprirà le porte della celebrità. Prima però, lo scrittore dovette passare per il ricovero in ospedale, nel 1955, a causa di un’ulcera perforante che rischiò di essergli fatale, dopo essere andato quasi in coma etilico durante una sbronza con la compagna Jane. Uscito dal nosocomio iniziò a comporre poesie fino ad accettare, nel 1969, l’offerta dell’editore della Black Sparrow di scrivere a tempo pieno per 100 dollari al mese: “Avevo solo due alternative: restare all'ufficio postale e impazzire... o andarmene e giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame”.
L’opera di Bukowski tra poesia e romanzi
“Ospedali, galere e puttane: sono queste le università della vita. Io ho preso parecchie lauree. Chiamatemi dottore”. Hank non si laureò mai e con questa frase ha spiegato la sua concezione di vita vera che lo ha portato a produrre sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie, il tutto raccolto in oltre sessanta libri. In Post Office, scritto nel 1969 poco dopo aver iniziato la collaborazione con la Black Sparrow, compare Henry Chinaski, alter ego che riappare spesso nelle opere dello scrittore, fino a diventare uno dei soprannomi dell’artista insieme ad Hank. Chinaski è un postino di Los Angeles, insofferente ai regolamenti e con uno stile di vita dissoluto che si scontra con la rigida macchina burocratica dell’ufficio postale. La cinica critica alla società moderna, la crisi del soggetto contemporaneo, sono i leit motiv di tutta la produzione letteraria dell’autore raccontata anche in Compagni di sbronze, Pulp e molti altri testi. Nella descrizione della disillusione, Bukowski affianca alle parole crude e al tono scurrile una sensibiltà intima mostrando che la vera bellezza esiste anche (e soprattutto) nelle dimensioni del grottesco e dell’impresentabile. Come dice Cass in Storie di ordinaria follia rispondendo alla domanda su cosa la spinga a mortificare il suo meraviglioso aspetto fisico: “Perché la gente pensa che sia l’unica cosa che ho. La bellezza non vale niente, la bellezza passa. Non sai quanto sei fortunato a essere brutto, perché se piaci alla gente sai per certo che è per qualcos’altro”.
Le donne di Hank
Alle figure femminili Bukowski ha dedicato un intero romanzo: Women. Per l’autore le donne sono state una costante tra relazioni occasionali di una sola notte e amori intensi e burrascosi, tutti decantati in poesie e racconti di vario genere. Il rapporto dell’artista con la femminilità è un legame tormentato. Tra le citazioni più famose di Bukowski c’è un giudizio duro sui suoi legami: “Continuavo a ripetere che non tutte le donne erano puttane, solo le mie”. Ma a questa idea si affianca poi un sentimento più profondo e delicato: “Tutto si riduce all’ultima persona a cui pensi la notte, è lì che si trova il cuore”. Hank si sposò per la prima volta nel 1957 con una poetessa texana, Barbara Frye, senza averla mai vista. Divorziarono nel 1959. Forse il più grande amore dello scrittore fu invece Jane Cooney Baker. La morte prematura della donna, nel 1962, devastò l’autore che a lei dedicò una importante serie di poesie e racconti. Da Frances Smith invece, nel 1964, ebbe la sua unica figlia, Marina Louise. Mentre nel 1976 incontrò Linda Lee Beighle, leader di una setta indiana, con la quale si trasferì nella comunità rurale di San Pedro, nella periferia di Los Angeles, dove rimase fino alla morte. Chiamata Sara in alcuni romanzi, di Linda Bukowski scrisse che gli aveva regalato altri dieci anni di vita perché l'aveva obbligato a bere un po' meno e solo vino.
Charles Bukowski e i social
Il cronista fedele alla sua verità è alla fine diventato un’icona del suo tempo e anche della contemporaneità. A 25 anni dalla morte, nonostante una società virtuale in cui l’apparenza sembra detenere il ruolo principale, ancora oggi la realtà schietta di Charles Bukowski è celebrata da milioni di lettori e non solo. È tra gli autori più citati sui social, con gli utenti che nelle frasi di Chinaski ritrovano l’immagine, spesso offuscata, della modernità.