Quali sono i nodi che bloccano la trattativa per la pace in Ucraina

Dopo settimane di trattative, tavoli, incontri, viaggi e mediazioni, la pace in Ucraina ancora non si vede. Rispetto alla presentazione del piano in 28 punti elaborato dall’inviato di Donald Trump, Steve Witkoff e presentato poche settimane fa, l’agenda è cambiata molte volte. Il piano di Witkoff è stato praticamente subito respinto da Kiev, appoggiata dall’UE, che lo ha ritenuto un mero elenco di richieste russe. Così, dopo poche ore, i leader europei e il presidente ucraino Volodimir Zelensky hanno rivisto quella prima bozza, riducendola a 19 punti e smussando le parti più smaccatamente sbilanciate a favore di Mosca. Poche ore dopo, si è svolta un’altra mediazione, questa volta ad Abu Dhabi, tra Russia, Ucraina e Stati Uniti, da cui è uscita una terza bozza che, in teoria, avrebbe dovuto essere presentata a Vladimir Putin. Il viaggio di Witkoff c’è stato, così pure l’incontro tra i due, ma la risposta di Putin non è arrivata. Così si arriva ai giorni nostri e all’ennesima bozza vergata nell’incontro di lunedì a Berlino dai leader europei e da Zelensky, con la benedizione del presidente Trump. Una proposta di mediazione che, da un lato, accoglie due su tre delle principali richieste russe, ossia la rinuncia dell’Ucraina all’adesione alla NATO e ai territori del Donbass persi sul campo, dall’altro traccia una linea molto precisa rispetto a quello che l’Ucraina non è disposta a cedere, ossia la parte di Donbass non ancora vinta dai russi e il diritto ad avere accordi militari con i Paesi NATO, affinché questi, in caso di ulteriore aggressione, contribuiscano alla sua difesa. Non è chiaro, in questo momento, se e quando questa ulteriore bozza sarà presentata a Mosca, né tanto meno come il Cremlino accoglierà le proposte di UE e Ucraina. Benché non si abbiano notizie certe dal Cremlino, alcuni segnali lasciano intendere che questa proposta non sarà ritenuta soddisfacente da Putin. E questo indipendentemente dal suo contenuto. Perché in questa fase il leader russo sembra non avere nessuna fretta di chiudere il conflitto per niente che non sia la completa vittoria e il completo raggiungimento di tutti i suoi obiettivi. “Il presidente Putin - scrive BBC - ritiene che la situazione diplomatica si sia orientata a suo favore, con un miglioramento delle relazioni con l'America e con conseguenti vittorie sul campo di battaglia. Alcuni analisti affermano che Putin non ha alcun incentivo a ritirare le sue richieste: che l'Ucraina rinunci all'ultimo 20% di Donetsk che ancora controlla; che tutto il territorio occupato sia riconosciuto a livello internazionale come russo; che l'esercito ucraino sia ridotto al punto di essere impotente; e che l'adesione alla NATO sia esclusa per sempre”. Così, in attesa di sapere come e se la mano tesa dall’Ucraina sarà accettata o respinta da Mosca, quel che resta sul tavolo è la difficoltà di capire quali siano le reali intenzioni russe. Davvero Mosca vuole la totalità del Donbass e poi, ottenuta quella, si fermerà? Davvero, ottenuta anche la parte di Donbass che non controlla e che l’Ucraina non intende cedere perché è anche quella meglio fortificata, Putin resisterà alla tentazione di avanzare sul resto del Paese, a quel punto privo di difese? Davvero, se Putin dovesse ottenere, come chiesto, il dimezzamento dell’esercito di Kiev, non vorrà riattaccare il Paese, completando il recupero di quelle che considera 'terre storiche' della Russia? Non meno intellegibile è la posizione dell’altro gigante di questa faccenda, ossia Donald Trump da cui, in buona sostanza, dipende anche la capacità dell’Ucraina di proseguire la guerra, nel caso in cui la mediazione non andasse in porto. Al momento non solo Kiev dipende dai rifornimenti di artiglieria americana ma dipende soprattutto dalla disponibilità di informazioni dell’intelligence USA. Se Trump dovesse ritenersi insoddisfatto dai passi di mediazione compiuti dall’Ucraina, potrebbe decidere di lasciare il Paese al suo destino chiudendo i rubinetti sia della fornitura di armi, che della condivisione di informazioni, lasciando l’Ucraina disarmata, al buio e soprattutto nella condizione di poter contare solo sull’unico altro grande alleato che le rimane: l’UE. L’Unione benché abbia fatto molto dal 2022 a oggi in termini di finanziamenti e forniture logistiche e militari, non è ancora riuscita a fare abbastanza da poter essere considerata una supplente credibile dell’alleato americano. Troppo lento il suo processo decisionale, troppo vuoti i suoi arsenali, troppo arretrate le sue tecnologie: tutte condizioni che rendono l’appoggio europeo a Kiev tanto incrollabile, quanto poco minaccioso per Mosca. L’ultimo asso nella manica, con cui l’Ue potrebbe colpire la Russia sarebbe il ricorso ai 200 miliardi di asset russi congelati nei suoi forzieri. Ma nemmeno su questo, almeno per ora, sembra esserci accordo.

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Luciana Grosso