Come cambiano le regole sull'immigrazione in Uk

Il Regno Unito ha dato il via, sotto un governo laburista, a un poderoso giro di vite sui permessi di asilo. Una decisione che arriva, verosimilmente, in risposta ai pessimi risultati del governo nei sondaggi elettorali, e in conseguenza del fatto che il tema immigrazione sembra essere diventato predominante nelle preoccupazioni dei britannici. Questo perché, per un imprevisto effetto di Brexit, i numeri dell’immigrazione in Gran Bretagna sono notevolmente aumentati dopo l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Benché l’uscita dall’Unione Europea fosse una scelta fatta proprio in chiave anti-immigrazione, nei mesi successivi al suo arrivo, il Regno Unito ha visto sì un drastico calo degli arrivi e delle presenze di lavoratori immigrati provenienti dalle economie europee più fragili . Ma per compensare questa carenza di lavoratori immigrati, che si stava traducendo in una grave carenza di manodopera e di personale sanitario , il governo di Boris Johnson diede il via a una serie di programmi per favorire l’arrivo di immigrati extra-europei. Questo ha portato, negli anni tra il 2021 e il 2024, i numeri dell’immigrazione europea a ridursi, e quelli dell’immigrazione extraeuropea a esplodere, passando dai circa 150 mila all’anno di prima di Brexit, ai circa 900 mila del 2023. Tutto questo, come prevedibile, ha portato a tensioni sociali e malcontento, oltre che al successo elettorale del partito xenofobo di estrema destra Reform Party, oggi in vetta a tutti i sondaggi e capace di nutrirsi dell’impopolarità di Laburisti e Conservatori, incapaci, sino ad ora, di venire a capo del problema. O meglio, non ci era riuscito, tanto per dirne una, il successore di Boris Johnson, Rishi Sunack, sotto la cui guida, anzi, il Paese aveva toccato il massimo storico di arrivi. l governo laburista di Keir Starmer, invece, sta ottenendo risultati migliori, ma ancora insufficienti agli occhi di una opinione pubblica inferocita e immiserita da Brexit, cui risulta semplice accusare gli immigrati di tutti i loro mali. Così, nonostante nel primo anno di governo Starmer i numeri dell’immigrazione nel Regno Unito si siano di fatto dimezzati, segnando un -40%. Un risultato raggiunto da Starmer abolendo il programma di visti, istituito dal governo di Boris Johnson, che consentiva di assumere operatori sanitari e sociali dall'estero e sostituendolo con uno che obbliga le aziende britanniche a assumere cittadini o lavoratori stranieri già presenti nel Paese. Tutto questo, anche se ha drasticamente ridotto i numeri dell’immigrazione, non li ha ancora portati sotto una soglia considerata accettabile, quanto meno dagli elettori. E per questo il governo inglese ha avviato un nuovo sistema ispirato a quello della Danimarca. In particolare il nuovo piano prevede, secondo quanto riportato da BBC, nuove regole per i richiedenti asilo, nuove norme per chiedere la resisdenza permanente e soprattutto nuove regole per i ricongiungimenti familiari: “Alle persone a cui è stato concesso asilo nel Regno Unito sarà consentito di rimanere nel Paese solo temporaneamente e il loro status verrà rivisto ogni 30 mesi. Ciò significa che le persone potrebbero essere rimpatriate nel loro Paese d'origine se questo fosse ritenuto "sicuro". I rifugiati dovranno inoltre risiedere nel Regno Unito per 20 anni prima di poter richiedere la residenza permanente o il permesso di soggiorno a tempo indeterminato, rispetto agli attuali cinque anni. Nel frattempo, il governo creerà un nuovo percorso di visti "lavoro e studio" e incoraggerà i rifugiati a trovare un impiego o a iniziare gli studi per passare a questo percorso e ottenere un insediamento più rapidamente. Solo coloro che seguono questo percorso di studio e lavoro potranno sponsorizzare i propri familiari affinché li raggiungano nel Regno Unito”. Non è tutto. L’esecutivo intende avviare anche un nuovo sistema per i rimpatri, questione che da tempo appare irrisolvibile nel quadro dei flussi migratori: questo perché organizzare i rimpatri è oltre che logisticamente complesso e costoso, anche politicamente arduo, perché affinché questi siano possibili è necessario ci siano accordi bilaterali- che non ci sono quasi mai- tra il Paese di partenza e quello di arrivo. L’idea di Starmer è quella di costringere i Paesi che ancora non hanno stretto questi accordi, minacciando di smettere di rilasciare visti di ingresso ai loro cittadini. A questo poi si aggiungeranno misure più prosaiche, come la fine dell'obbligo legale di fornire supporto in termini di alloggio e sussidio ai richiedenti asilo in grado di lavorare o colpevoli di reati di vario tipo. “Il sostegno - dice BBC- continuerà a essere disponibile per "coloro che sono indigenti", ma sarà negato a coloro che hanno il permesso di lavorare e non lo fanno”. Allo stesso modo, per quanto possibile, si cercherà di porre fine all'uso degli hotel per ospitare i richiedenti asilo entro il 2029 , un fenomeno che, secondo i dati ufficiali, lo scorso anno è costato al governo circa 5 milioni di euro al giorno e soprattutto al “sistema in base al quale le famiglie le cui richieste di asilo sono state respinte continuano a ricevere alloggio e sostegno finanziario fino al compimento dei 18 anni del figlio più piccolo”. Tutte misure di irrigidimento e di razionalizzazione, forse persino di lusinga alla parte più destrorsa dell’elettorato, ma non di fine agli arrivi nel Regno Unito. Questo perché, come ci ha tenuto a sottolineare l’esecutivo laburista, rimarranno attivi i programmi di sostegno umanitario e di accoglienza per i rifugiati . Poi perché i dati dicono con chiarezza che l’economia britannica, senza immigrazione, andrebbe in anossia. Secondo il Think Tank Best for Britain, la popolazione del Regno Unito è destinata a invecchiare e ridursi e, soprattutto a non avere le forze nè per svolgere tutti i lavori richiesti nè per sostenere, con le sue sole forze, l’enorme peso del Welfare. Ragion per cui chiudere le porte del Regno Unito all’immigrazione sarebbe una mossa suicida. Così come sarebbe suicida, per il Premier Keir Starmer, quella di non cercare di ridurne i numeri.

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Luciana Grosso