Leila Guerriero: “Con Milei facciamo passi indietro”

"Non capisco perché ti interessa tanto Silvia Labayru. Che cos’ha di particolare?". Una domanda che le è stata fatta tante volte. Leila Guerriero, scrittrice e giornalista argentina classe 1967, si è data una risposta: “perché forse mi piace complicarmi la vita”. E a questo gusto per le cose difficili dobbiamo “La chiamata”, edito da Sur e tradotto da Maria Nicola, un potente e raffinato ritratto di donna o meglio un “tentativo di ritratto”. Silvia Labayru, con cui Guerriero ha intrattenuto ore e ore di conversazione, nel 1976, durante la dittatura di Videla, fu rapita, torturata e costretta a partorire in una stanza del centro di detenzione clandestino in cui era imprigionata e ridotta a schiava. Aveva vent’anni ed era una militante di Montoneros, gruppo armato di matrice peronista. La rimessa in libertà due anni più tardi non è però la fine dell'incubo. In Spagna, dove emigra, viene perseguitata dal sospetto. La sua colpa? Essere sopravvissuta e per questo sospettata di tradimento dalla diaspora di ex compagni di lotta. Leila Guerriero, la prima giornalista a intervistare Labayru dopo 40 anni di silenzio, ci porta in anni bui della storia argentina, ricostruiti con tinte sfumate e mai ideologiche. Abbiamo incontrato l’autrice nei giorni scorsi al Festival di Internazionale a Ferrara, mentre in Argentina la campagna elettorale per le parlamentari, che si celebrano oggi 26 ottobre, era in corso. Un test per il presidente ultraliberista Milei, alle prese con un’economia in stallo, scandali, segnali di una popolarità in declino. Una conversazione sul presente e il passato di un Paese che, come spiega Guerriero, “si definisce dalle crisi”. Perché ha deciso di scrivere un libro sugli anni Settanta e perché proprio adesso? Perché mi interessa la storia. Credo che, come giornalista, il mio lavoro non consista nell’inviare messaggi, bensì nel raccontare storie. L'ho scritto in un momento in cui l'attuale presidente non era nemmeno un possibile candidato, quindi la situazione attuale in Argentina non faceva parte delle mie conversazioni con la protagonista del libro, Silvia Labayru. Tuttavia, è un libro che necessariamente genera dibattito ed è un libro che vuole ricordare fatti accaduti 40 o 50 anni fa, ma che non dovremmo dimenticare. Non voglio, ovviamente, paragonare questo governo a quanto accaduto in Argentina negli anni '70. Non è questa l'intenzione, sarebbe assurdo farlo. Ma penso che sia sempre bene conoscere il passato affinché le cose non si ripetano e anche per capire quale passato abbia prodotto il presente che stiamo vivendo. Possiamo dire che in Argentina c'è una condanna generalizzata rispetto al periodo della dittatura, ma che questa leadership sia più timida nella condanna? Beh, sì. A volte il mio Paese è un po' sconcertante, almeno per me, perché, come hai detto, c'è un consenso diffuso che credevo si fosse sviluppato e consolidato in tutti questi anni. Il punto attorno al quale si era generato questo consenso è che negli anni Settanta non ci fu una guerra, ovvero uno scontro tra due parti su un piano di parità, ma piuttosto si trattò di terrorismo di Stato esercitato contro gruppi armati, che non avevano lo stesso potere, né la stessa capacità di annientamento. Su queste premesse, abbiamo vissuto per diversi anni in democrazia, sulla base di un certo consenso sui diritti umani, e l'Argentina ha svolto un lavoro senza precedenti nel mondo, processando i repressori. La democrazia era appena agli inizi, il che ha fatto sì che quei procuratori e quei giudici corressero rischi reali, subissero minacce e pressioni di ogni tipo. Ora abbiamo un governo che non solo nega tutto questo, ma, in molti casi, rivendica anche la azioni della dittatura. Questo libro si muove tra letteratura e giornalismo. Quando ha mosso i primi passi nella professione di cronista cosa si aspettava dal futuro del suo Paese? Scrivo saggistica. Tutto ciò che scrivo lo scopro, lo indago. Ma sì, potremmo parlare di una forma letteraria, nel senso che cerco di garantire che la struttura accompagni il contenuto nel modo più efficace possibile. Sono diventata giornalista tra il '92 e il '93. No, non era possibile immaginare questo presente, al di là del fatto che il Paese ha attraversato nel frattempo molte crisi di ogni tipo: economica, sociale, politica, con un picco molto alto di orrore democratico all’inizio degli anni Duemila. Con proteste, persone morte, un avvicinendamento di molti presidenti, una tremenda svalutazione della moneta. Ma su alcuni valori sembrava ci fosse un incrollabile certezza. Ho seguito da vicino le campagne di Javier Milei e Sergio Massa, il suo avversario peronista. E la verità è che ho sempre pensato che se c'era un Paese in cui non c'era alcuna possibilità che una forza come Libertad Avanza vincesse, quel paese, almeno in America Latina, era il mio, l'Argentina. Ma ehi, sono una giornalista, non una futurologa, e spesso mi sbaglio. È un libro che parla di donne. Parla della sofferenza delle donne. E non possiamo non dire che in Argentina il Ministero delle Donne è stato abolito dalla nuova leadership, i tassi di femminicidio sono altissimi ma i vertici stanno conducendo una battaglia contro il concetto di femminicidio. Che futuro immagina per le donne in questo Paese? Se c'è qualcosa che mi spinge ad andare avanti è una sorta di… Non so, non mi piace la parola “speranza”, perché si utilizza quando si è nel baratro totale. E la speranza è anche una sensazione che in qualche modo ti paralizza, perché è come aspettare che accada qualcosa al posto di agire. Se c'è qualcosa che mi dà una buona sensazione, chiamiamola così, è proprio il lavoro che molte organizzazioni svolgono: non solo associazioni femministe ma parliamo di realtà molto proattive nel difendere alcuni diritti che si è cercato di erodere. Ma vale la pena menzionare ciò che è stato fatto in questi due anni di governo. In modo estremamente subdolo, sono stati tagliati gradualmente i fondi destinate alle organizzazioni per i diritti umani. E la mia più grande paura a questo proposito è nata fin dall'inizio di questo governo, quando ho iniziato a vedere questi piccoli tagli strumentali. La società civile argentina ha gli anticorpi? La mia più grande paura è la sindrome della rana nella pentola. Quando metti una rana in una pentola di acqua fredda e inizi a riscaldarla lentamente, la rana non si accorge che si sta scaldando finché l'acqua non inizia a diventare bollente, e quando reagisce, è troppo tardi per saltare fuori. Penso però che il femminismo in Argentina sia estremamente forte. Non a caso quella che è nota come l'onda verde, un movimento composto da donne di tutte le età che sostengono la legge per l'aborto legale, sicuro e gratuito, ha mobilitato così tante persone, anche fuori dai confini e in tutta la regione. Mi sembra che i campanelli d'allarme non siano mai abbastanza forti, ma stanno continuando a suonare. Non credo che i diritti delle donne regrediranno: non riusciranno mai a fare quello che hanno paventato, ovvero revocare la legge sull'aborto. Cosa le fa più paura? Sono più preoccupata per le minoranze vulnerabili, ad esempio la popolazione transgender, i cui diritti, incluso quello ai trattamenti ormonali, vengono gravemente violati. C'è un forte incitamento all'odio contro la diversità, e questo mi allarma perché ci sono statistiche che lo dimostrano, dinamiche che sono fortemente alimentate dai social media, che sono stati uno dei principali motori del successo del partito al governo. Ci sono influencer e utenti di X che lanciano messaggi orribili contro questi gruppi e, va detto, rivendicano le azioni della dittatura. Ad esempio, qualche giorno fa, uno di questi profili ha pubblicato un messaggio in cui diceva quanto fosse fortunato suo padre ad avere avuto una Ford Falcon per tutta la vita, e aggiungeva: “Io posso ancora aprire il bagagliaio e sentire odore di giustizia”. La Ford Falcon era l'auto che i militari usavano per andare in pattuglia e rapire i desaparecidos. Questo "odore di giustizia" significa che gli atti di rapimento, tortura e uccisione di persone sembrano perfettamente accettabili a questa persona, che è molto giovane. Ci aiuti a decifrare le notizie che arrivano dall'Argentina: sentiamo di scandali politici, di un Milei alle prese con una situazione economica fuori controllo dopo due anni di "motosega" sulla spesa pubblica e che il malcontento sociale è sempre più forte. Si può parlare di una crisi politica in corso? Dovremmo iniziare definendo cos'è una crisi politica e poi pensare a cos'è una crisi politica in Argentina perché ci sono state crisi politiche terribili che hanno posto fine a governi. C’è una crisi politica, sì, ma non in termini di messa a repentaglio della continuità del governo. Non mi aspetto che ciò accada davvero. Mi sembra che il modo migliore per rispondere a certe situazioni che provengono da chi è al potere sia rispondere con equilibrio, con prudenza, con più democrazia. Personalmente, non vorrei che piombassimo in una nuova grave crisi, e forse quello che ti sto dicendo è più un mio desiderio che realtà. Credo che ci sia una crisi interna al partito Libertad Avanza. Credo anche che ci sia un'enorme crisi interna al PJ, il Partito giustizialista che è la principale opposizione. Tutto molto instabile. Le elezioni di settembre nella provincia di Buenos Aires sono state vinte dal PJ, cosa piuttosto insolita, impensabile a questo punto. C’è stato poi il salvataggio di Trump con un prestito, e ora ci stiamo dirigendo verso le elezioni di ottobre su un terreno completamente scivoloso, con il primo candidato di una lista del Congresso sospettato di aver avuto relazioni con un americano attualmente accusato di traffico di droga e riciclaggio di denaro. Quindi penso che sia tutto molto sporco, e non è un caso che queste cose vengano alla luce a pochi giorni dalle elezioni. Penso che la crisi politica sia ciò che definisce l'Argentina. Vedremo cosa succederà con le parlamentari per capire meglio. Anche questo non sarà definitivo; arriverà qualcos'altro che genererà ulteriore crisi, è così che vanno le cose. A livello sociale, secondo lei, gli aiuti di Trump saranno sufficienti? L'austerità è qualcosa che si sente molto a livello sociale ora: più che austerità, è la mancanza di soldi. Voglio dire, la frase "non riesco ad arrivare a fine mese con il mio stipendio" è qualcosa che si sente sempre più spesso... Stiamo tutti rinunciando a qualcosa, ovviamente quelli che appartengono alla classe media si adeguano. Si può vivere senza avere cinque piattaforme di streaming, ma ci sono persone che allo stato attuale non possono mangiare più di una volta al giorno, questa è la vera tragedia. Ma sì, si sente, certo, la mancanza di soldi, il calo di consumi. Nel mio quartiere, vedo le attività commerciali chiudere.

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Ludovica Passeri