La rivolta di editori e scrittori serbi: “Boicottiamo la Fiera del Libro di Belgrado”

Non ci sarà Milisav Savić, tra i massimi esponenti del postmodernismo jugoslavo, né la prolifica autrice Mirjana Đurđević, nemmeno Dragan Velikić, vincitore di non uno ma ben due Nin, il premio più importante per i romanzieri serbi, così come Dejan Atanacković, che si aggiudicato lo stesso riconoscimento nel 2018 con “Lusitania”, nelle nostre librerie dal 22 ottobre. Sono solo alcuni degli scrittori che hanno scelto di boicottare la Fiera del Libro di Belgrado, la più importante rassegna letteraria serba. Una decisione condivisa da una ventina di editori, che quest’anno non saranno presenti con il proprio stand. Le ragioni di questo “sciopero” sono da ricercare nelle date scelte per la fiera, che si svolgerà dal 25 ottobre al 2 novembre: proprio nella settimana in cui ricorre il primo anniversario del disastro di Novi Sad. Il primo novembre scorso la pensilina della stazione ferroviaria della seconda città del Paese crollava provocando la morte di 16 persone. Era l’inizio di una lunga stagione di proteste che è tuttora in corso. Una tragedia spartiacque, considerata da molti come “evitabile”, e che ha fatto esplodere il dissenso contro la corruzione e contro la leadership politica che regge le sorti del Paese da oltre un decennio, attraverso il partito progressista serbo - il conservatore Sns - e il presidente Aleksandar Vučić. “Avrei dovuto presentare il mio ultimo romanzo ‘Tajni roman Gorana Grolovića’ , ma non lo farò”, spiega a Sky TG24 Insider Atanacković, scrittore dai natali belgradesi che si divide tra Italia e Serbia e che è una delle voci più critiche nei confronti delle autorità. Le posizioni restano variegate. Alcuni editori per non pagare le penali hanno scelto di partecipare, restando però chiusi nel giorno dell'anniversario, una decisione che comunque contravviene agli accordi contrattuali e che potrebbe avere delle conseguenze. Altri hanno puntato il dito su chi ha scelto di non esserci, sostenendo al contrario l’importanza di partecipare “per difendere la cultura”. “Non siamo qui per creare divisioni e siamo ben consapevoli che le case editrici debbano farsi i conti in tasca. Il primo novembre , essendo un sabato, è il giorno più importante per le vendite e che il boicottaggio totale implichi un grande danno economico, e ovviamente vale anche per me e la mia casa editrice. Riteniamo, tuttavia, che sia impensabile fare affari in una giornata così dolorosa e in cui tanti serbi scenderanno in piazza per far sentire la propria voce”, sottolinea Atanacković. Tutte le richieste di anticipare le date o di abbreviare la durata della kermesse sono rimaste inascoltate. Le diserzioni vengono liquidate e minimizzate dalla direzione, che parla di una percentuale minima di recalcitranti. Andando indietro con gli anni si scopre, inoltre, che la fiera, alla sua 68esima edizione, si conclude generalmente entro gli ultimi giorni di ottobre e raramente nel passato ha scavallato il mese successivo. Una eccezionalità che ha fatto pensare che dietro la calendarizzazione degli organizzatori ci fosse un preciso intento: fare un favore alle autorità, normalizzando il primo novembre e tentando di oscurare così la grande manifestazione antigovernativa prevista per quel giorno a Novi Sad, la città in cui tutto è cominciato. Del resto, il presidente, a cui hanno fatto eco molti politici di maggioranza, ha detto che sarà una giornata come le altre e ha invitato a commemorare le vittime privatamente nelle chiese, pregando e accendendo un cero. Anche i libri e gli eventi culturali diventano un campo di battaglia tra istituzioni e opposizione interna, in un momento di accesissima polarizzazione, intensificata dall’approssimarsi del primo anniversario. Sullo sfondo la richiesta inascoltata di elezioni anticipate e la frustrazione per quella che viene giudicata una mancanza di volontà politica che ostacola il raggiungimento di una verità giudiziaria sul disastro di Novi Sad. Non sono passate inosservate le dichiarazioni rilasciate dal Vučić nelle ultime settimane che, rilanciando le informazioni diffuse dai servizi segreti russi per l’estero, ha tratteggiato lo scenario di “una rivoluzione colorata” che sarebbe in preparazione”. Gli accadimenti dell’ultima settimana hanno gettato benzina sul fuoco. Il 22 ottobre un uomo davanti al parlamento ha sparato a un sostenitore del presidente ferendolo a una gamba, per poi dare fuoco a uno dei gazebo della tendopoli filogovernativa che da mesi occupa la piazza dell’Assemblea nazionale. Anche se la magistratura non si è ancora espressa sulla natura del gesto, il presidente lo ha definito immediatamente “grave atto terroristico”. Per i critici però la sparatoria è stata solo un pretesto per delegittimare il movimento di contestazione e allo stesso tempo il perfetto diversivo per non affrontare un’altra importante notizia: la dura risoluzione con cui il parlamento europeo per la prima volta dall'inizio delle proteste ha preso posizione contro Vučić e i vertici serbi. “Terrorista” è un aggettivo evocato spesso negli ultimi mesi dal presidente, che l’ha più volte utilizzato per criticare le iniziative di disobbedienza civile promosse dagli studenti universitari, leader della protesta. “Sono stato accusato io stesso, da un commentatore politico vicino al presidente, di annunciare atti terroristici con la mia posizione sulla fiera. Parole assurde”, racconta Atanacković. Il dibattito è ora più che mai avvelenato. La kermesse è solo uno dei fronti aperti tra le autorità e un bel pezzo di intellighenzia serba che critica i vertici anche per quella che viene considerata una pessima gestione dei beni culturali e dei fondi pubblici, a discapito degli artisti dissidenti. “La questione del disastro di Novi Sad è in primo piano ma a un livello più generale sono tante le direttive del ministero della cultura che non accettiamo e per cui boicottare la fiera si carica di differenti significati”. Solo pochi mesi fa gli editori annunciavano un altro boicottaggio contro la decisione ministeriale di acquistare per le Biblioteche pubbliche solo le edizioni in cirillico per scoraggiare quelle in alfabeto latino. “Una vera idiozia nazionalista - commenta Atanacković - che aggiunge: “Anche la fiera stessa negli ultimi anni ha visto un declino con la partecipazione di figure squalide come il criminale Vojislav Šešelj”. Proprio il Šešelj, condannato in appello presso il Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini commessi nella guerra dalla ex Jugoslavia e leader di un partito di estrema destra. “E non era l'unico ospite irricevibile. Chiaramente a parte queste presenze discutibili, ciò non poteva togliere valore alla fiera, visto che comunque importanti case editrici presentavano le loro opere. Dunque abbiamo cercato di convivere con quello che non ci piaceva. Ma quest’anno la coincidenza con la tragedia del crollo della pensilina non mi lascia scelta. Per me non esserci ha un gusto particolarmente amaro, non solo per la perdita economica ma perché mio padre lavorò negli anni Ottanta nella direzione della Fiera, quindi è uno spazio e un momento dell’anno a cui sono da sempre particolarmente legato”.

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Ludovica Passeri